L'INTERNAZIONALE DELLA MEDIOCRITA'
Di Pierre Restany.
Verso l'estetica generalizzata. Galleria Apollinaire, Milano, dicembre 1967.
"Saluto
il XXI secolo, che è la mia epoca, il mio presente e il mio divenire.
Ma mi domando: il XX secolo è mai esistito? Le conseguenze bastarde del
romanticismo non hanno fatto che proliferare fino al 1960, coperte dal
surrealismo, dalla fantascienza o dall'action painting. Dalla filosofia
al teatro, dalla politica alla pittura, il romanticismo aveva dato una
risposta a tutto. Il suo segreto era semplice, racchiuso in una
definizione del lirismo: la manifestazione dell'essere in movimento. In
fondo la vita non è che linguaggio e questa estroversione sistematica
dell'ontologia ha creato una bella confusione. L'esistenza è stata resa
simile all'urgenza espressiva. Così si è sviluppata la nozione
soggettiva dell'arte concepita come una singolarizzazione del
linguaggio. A partire dallo <stile> di un'epoca, tronco principale
che è lo strumento della comunicazione base, irradiano i rami
particolari della personalità individuale. Non si tratta in alcun modo
di rimettere in questione i fondamenti di un linguaggio strumentale
tanto più efficiente quanto meglio è assimilato, ma di sfruttare le
varianti per dei fini personali: carriera, produzione, mercato.
Quest'affanno dell'espressione <individuale> ha proiettato il XX
secolo romantico al di là dei suoi limiti temporali: non ha mai finito
di morire ….. …..
Fino al giorno in cui è nato un senso nuovo della natura moderna che
gli ha dato il colpo di grazia: una natura perfettamente oggettiva,
concepita non più esclusivamente nei suoi rapporti di relazione con
l'io, ma esistente in sé come il prodotto di una sintesi collettiva, il
fenomeno industriale e urbano, repubblica dei nostri scambi sociali,
bene comune dell'attività di tutti gli uomini. Lo
sviluppo dei mass media ha reso ancor più tangibile il fenomeno,
fornendoci gli elementi di dettaglio d'un linguaggio immediato: la fonte
di un nuovo folklore. Pionieri del rovesciamento realista dei valori,
neo-dada e nuovi realisti, assumendo i gesti limite dell'appropriazione
del reale, hanno aperto la strada alla pop art. mentre gli europei
creavano una poesia e una sintassi per i ready-made di Marcel Duchamp,
gli americani scoprivano la ricchezza espressiva della loro cultura
industriale attraverso la contestazione del folklore moderno. Tutto
sembrava il meglio nel migliore dei modi. Ahimè, è dura la vita del
cattivo pittore romantico. Immerso nella banalità quotidiana, sottoposto
alla spietata concorrenza dei mezzi moderni della comunicazione
visuale, spaventato poi dall'anacronismo della sua situazione, ha
creduto di trovare un ancora di salvezza nella singolarizzazione del
banale. E come singolarizzare il banale, se non sofisticandolo? Si
truccano a tutt'andare le cartoline, i fumetti, i piani cinematografici e
le sequenze televisive. Va bene tutto purché – a partire da questa
contingenza anonima diventata il grado zero della percezione – appaia la
traccia <pittorica> tangibile dell'espressione individuale. Così,
ancora oggi, si pretende di giustificare la produzione massiccia del
quadro e l'esistenza del collezionista. La
mediocrità della sedicente figurazione narrativa è quella dei suoi
protagonisti e del suo pubblico. Il continuo crescere di questa
industria bassamente figurativa rispecchia la proliferazione di
un'interpretazione della mediocrità preoccupata innanzi tutto di non
fare sforzi mentali. Da Milano a Bruxelles, da Parigi a Tokyo o Buenos
Ayres, una generazione di piccolo-borghesi modernisti intende godere in
pace la relativa prosperità del suo dopoguerra: ha trovato i suoi
piccoli maestri. Questa
iconografia minore illustra il calo culturale di un'epoca in piena
transizione, stordita di fronte all'inesorabile mutamento dei valori.
Gli eterni cornuti della storia sono naturalmente dei gran
chiacchieroni. I sofismi fanno da paravento alla loro impotenza
percettiva. I pittori narrativi incarnano le illusioni di questo
parolare e il fumetto è divenuto lo specchietto per le allodole. Tutte
le proposte dell'iconografia moderna non presentano – per nostra grande
fortuna – il carattere d'anacronistica povertà della figurazione
narrativa. L'arte meccanica tende a ristrutturare l'immagine piana
ricorrendo esclusivamente ai mezzi foto-meccanici: riporti fotografici,
analisi di retini, impressioni dirette su superfici sensibilizzate, ecc.
sono modi d'espressione che esigono tirature illimitate e la negazione
implicita del vecchio concetto di opera unica. Il
divenire dell'arte è d'altronde lontano dall'identificarsi col puro e
semplice destino dell'immagine piana. L'arte del XXI secolo ha
abbandonato il salone e il museo per la fabbrica e la strada: è un addio
senza ritorno. L'attuale evoluzione delle forme pluridimensionali
d'espressione fa chiaramente testimonianza al fenomeno. Se il mito
dell'anno 2000 ha ancora un senso è perché incarna il simbolo della
metamorfosi di tutti i linguaggi. In
una società che si prepara a vivere la sua Seconda Rivoluzione
Industriale sfociando nell'era dell'automazione e del tempo disponibile,
la funzione dell'arte è cambiata. È l'elemento catalizzatore della
sensibilità collettiva e dell'emozione individuale. Una festa dello
spirito e dei sensi, una metamorfosi collettiva a favore di un più
grande numero. L'internazionale
della mediocrità traduce sotto le sue false sembianze moderniste
l'inerzia culturale dell'epoca: i riflessi residuali del passato
romantico, la paura e la pigrizia hanno creato il falso problema della
narrazione figurativa. Hanno gli occhi e non vedono! Tanto peggio per i
mediocri. Non si va contro il progresso, contro questa verità dinamica
che ha in sé stessa la sua propria rivelazione. Concepita da poeti del
tempo libero e da specialisti della sensibilità urbana, l'arte di domani
sarà un'arte totale corrispondente a un'estetica popolare
generalizzata, fondamento delle indispensabili metamorfosi planetarie”.
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