Dal punto di
vista del pubblico in generale, qualsiasi tipo di “teoria”
elaborata dagli artisti è improbabile, se non addirittura
impossibile. L'opinione prevalente è che l'artista, se ha qualcosa
da dire, lo debba esprimere attraverso la propria opera. E,
naturalmente, alcuni dei miti ereditati riguardo alla nostra
professione -in quanto provenienti dalla storia religiosa- richiedono
all'artista più un ruolo da stregone che da intellettuale dedito
alla teorizzazione. Nel corso del nostro secolo, questo atteggiamento
è stato in buona parte alimentato da quel baluardo della reazione
anti-intellettuale rappresentato dall'espressionismo e dalla sua
interiorizzazione nel modernismo, quando la pittura eroica è
divenuta una sorta di aura dotata di un proprio valore commerciale
sul mercato. Esso giocava sui miti messianici dell'individualismo
eroico; la sua realtà sociale si fondava sul fatto che la
sopravvivenza economica di un'attività artistica così definita
dipendeva da un'aura derivante dalla sua penuria come merce, in modo
da vendere appunto l'aura, la quale di necessità era rara.
Nell'ultima metà del XX secolo ci siamo trovati circondati da
oggetti funzionanti come reliquie religiose -quadri astratti e
sculture primitive che si prestavano altrettanto bene ad essere
utilizzati come oggetti d'arredamento- senza, però, che la religione
conferisse loro un significato. Pregavamo la scienza e questa forma
di vita culturale avrebbe dovuto colmare il vuoto.
Occorre
separare l'estetica dall'arte perché l'estetica tratta le opinioni
sulla percezione del mondo in generale. Nel passato uno dei due poli
della funzione dell'arte era costituito dal suo valore di
decorazione. Così, ogni settore della filosofia che si occupava
della “bellezza”, e quindi del gusto, doveva inevitabilmente
discutere anche di arte. Da questa “abitudine” derivò la nozione
che esistesse un legame concettuale tra arte e estetica -il che non è
vero. Fino a tempi recenti questa idea non è mai entrata nettamente
in conflitto con considerazioni artistiche, non solo in ragione delle
caratteristiche morfologiche dell'arte che perpetuavano questo
errore, ma anche perché le altre apparenti “funzioni” dell'arte
(raffigurazioni di temi religiosi, ritrattistica di aristocratici,
rappresentazione di particolari architettonici, ecc.) usavano l'arte
per mascherare l'arte.
I critici e gli artisti formalisti
non mettono in questione la natura dell'arte.
Eppure, mettere in questione la natura dell'arte costituisce un
concetto fondamentale nella comprensione della funzione dell'arte.
Il problema della funzione dell'arte venne
sollevato per la prima volta da Marcel Duchamp. Possiamo infatti
attribuire Marcel Duchamp il merito di avere dato all'arte la sua
identità.
Il Ready-made mutò la
natura dell'arte da una questione di morfologia a una questione di
funzione. Questo mutamento dall' “apparenza” alla “concezione”
segnò l'inizio dell'arte “moderna” e l'inizio dell'arte
concettuale.
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