Manifestazione pro-divorzio, 1974. Stampa cm 18x24. Archivio fotografico kultura70.
giovedì 31 marzo 2016
mercoledì 30 marzo 2016
martedì 29 marzo 2016
NON SO SCRIVERE MA LEGO. n. 2
Ci si chiede se l'arte contemporanea, educando alla continua rottura dei modelli e degli schemi -eleggendo a modello è a schema la deperibilita' dei modelli e degli schemi, e la necessità del loro avvicendamento, non solo da opera adopera, ma all'interno di una stessa opera- non possa rappresentare uno strumento pedagogico con funzione di liberazione; e in tal caso il suo discorso supereroe il livello del gusto e delle strutture estetiche per inserirsi in un contesto più ampio, ed indicare all'uomo moderno una possibilità di recupero e di autonomia.
venerdì 25 marzo 2016
GIAN MARIA VOLONTE' ARRESTATO.
Gian Maria Volonté arrestato durante una manifestazione della Coca-Cola in sciopero da 2 mesi, 1971. Stampa vintage cm 13x18. Archivio kultura70.
“Noi speriamo in
un mondo che riesca a migliorare la qualità della vita di tutti:
l'ambiente, la possibilità di conoscere, la possibilità di
comunicare e di informare. E, sopratutto, la possibilità di
eliminare tutto quello che è oggetto per distruggersi come le armi,
le guerre, la pena capitale. Ed io credo che già quello sarebbe un
grande cambiamento.”
Gian Maria Volonté
mercoledì 23 marzo 2016
MUSICA,BANDIERE,ERBA,DUE GIORNI DI COMUNISMO
BALLABIO:
MUSICA,
BANDIERE, ERBA
DUE
GIORNI DI COMUNISMO.
Re
nudo 25 ottobre 1971 – nr. 8
A
mezzogiorno tre ore prima dell'inizio, c'erano già quasi duemila
persone sul prato. Ma <persone> non rende bene l'idea: erano
duemila compagni, duemila amici, amici con i quali se ci si trova per
caso in un gruppo, sul tram, al cinema, eccetera, si trova subito uno
sguardo d'intesa.
È
stato a questo punto che abbiamo capito che il festival era riuscito:
nonostante tutti i pessimismi, le paure, il terrore di commettere uno
sbaglio, di capitare in due giorni di cattivo tempo e di trovarsi con
il culo per terra.
Tre
ore dopo c'erano almeno cinquemila persone: sacchi a pelo, gruppi già
formati, altri in via di formazione; c'erano i giovani della
<cintura> di Milano, quelli di Brera, quelli di Lotta Continua
che se ne erano fregati delle indicazioni di alcuni dei loro
dirigenti e che erano venuti su come gli altri, quelli che non
credono che la musica freefolkpop sia una cosa che se piace ci si
deve vergognare, che si deve essere orgoglioso solo di fare il <vero>
militante, serio, preparato, sempre davanti alla fabbrica; che se poi
a quelli più giovani piace un prato, aria buona, un panino e un po'
di musica allora è un Hippy che per i gran capi è poco meno che un
delinquente. Una frase come questa può apparire qualunquistica: ma
chi la vede cosi non ha chiara la distinzione fra vecchio e nuovo
modo di fare politica.
È
un modo vecchio cercare di convincere (volevo dire tirlupinane, ma
riconosco la buona fede di costoro) la gente che farà o prepareràla
rivoluzione distribuendo principalmente immagini di rivoluzionari
inevitabilmente tristi e pallosi e che non la faranno riunendosi in
10000 ad ascoltare musica loro, fuori dai condizionamenti
dell'industria discografico musicale, in una atmosfera di consumismo
(nei fatti non a parole) e di solidarietà come raramente si trova
nelle manifestazione o nei gruppi. E poi, e qui un brivido di
raccapriccio corre nelle religiose represse spine dei religiosi
repressi leaders, tutti fumavano.
Non
Marlboro o Kent naturalmente; oppure Gitanes o Gauloises che fanno
venire subito il fiatone quando si scappa con i poliziotti al culo.
No, si fumavano joints, erba, chilums, eccetera. Si fumavano droghe.
Si fumava hascish o marijuana: le sigarette passavano di mano in
mano, tra persone che pochi minuti prima nemmeno si conoscevano, tra
lo sguardo attento e impotente dei porci, quello incerto dei
lottacomunisti, quello vacuo e ottuso dei ragionieri di Lecco e
dintorni saliti con gilet di maglia e cravatta, e in alcuni casi con
moglie e bambini a vedere gli <hippies> e i capelloni.
E
le spie non potevano fare nulla: erano decine, e gli altri quelli che
commettevano vari reati: fumavano, si divertivano, erano allegri
–tutti delitti gravi in questa società – erano migliaia. E
queste migliaia non hanno avuto nulla da temere finchè sono stati
insieme. Insieme si è forti, <insieme si vince>. Solo quando
alcuni hanno cominciato a ritornare alla spicciolata, sgranandosi
lungo i sessantadue chilometri da Ballabio a Milano la polizia ha
potuto intervenire, intimidire reprimere:
trecento
i fermati, tre gli arrestati. Probabilmente questi ultimi erano già
stati identificati dai guardoni in borghese, seguiti fino alla
macchina, poi la targa era stata comunicata via radio ai blocchi
stradali.
Bravini
questa volta. Se faremo, e lo faremo, un altro festival apriremo
meglio gli occhi, le orecchie, e all'occorrenza un canile per i
canipulotti.
IL
MESSAGGIO CHE PUBBLICHIAMO QUI, AVREMO DOVUTO LEGGERLO AL FESTIVAL,
MA LA CENSURA DEL CARCERE L'HA TRATTENUTO IMPEDENDO CHE ARRIVASSE IN
TEMPO.
“
Compagne e compagni
non
abbiamo notizie precise circa il vostro raduno. Tuttavia ci è
gradito far giungere a voi tutti un saluto, nostro e di altri
compagni detenuti. La funzione dei festival è stata ultimamente
sfruttata, come spesso accade a tutte le manifestazioni spontanee
giovanili.
Il
fatto che al vostro raduno non partecipino noti complessi, che non
esitano a vendere la loro merce a gruppi editoriali borghesie a
impoverire l'immaginazione del pubblico cristallizzandone ogni
possibile forma di creazione e spontaneità, dà garanzia di serietà
del vostro raduno.
Noi,
pur essendo in carcere, non siamo insensibili a queste iniziative che
hanno una enorme importanza al fine di creare un movimento
alternativo alle strutture di spettacolo borghese.
Siamo
pienamente d'accordo e solidali con la campagna che da tempo <RE
NUDO> conduce contro lo sfruttamento organizzato dalle forme di
espressioni e di manifestazioni giovanili.
Questa
società di merda, con la creazione di miti sostenuti dai suoi mezzi
di informazione, non esita a ridurre a merce -con relativo prezzo- la
nostra immaginazione artistica e creativa.
A
nostro avviso riteniamo giusto insistere nella campagna che è stata
condotta sotto la parola d'ordine:
<il
biglietto non si paga, lo si prende!>
E'
un modo, questo, di fare politica e lottare tutti insieme per una
società con un volto più giovane, più umano.
Salutiamo
tutti, a pugno chiuso.
Sante
Notarnicola – Carlo D'amario
STANO FILKO
kultura70 rende omaggio all'artista slovacco Stano Filko, scomparso pochi mesi fa all'età di 78 anni, perlopiù sconosciuto al grande pubblico italiano, è stato uno dei pionieri dell'avanguardia artistica anni '60-'70. Di seguito, alcuni dei suoi lavori datati 1965-69.
martedì 22 marzo 2016
GABER AL GIRO D'ITALIA
Giorgio Gaber, 1967, al giro d'Italia mentre firma autografi alla partenza dei corridori. Stampa vintage cm 18x24. Archivio fotografico kultura70.
IL CONCETTUALISMO DI KOSUTH
Dal punto di
vista del pubblico in generale, qualsiasi tipo di “teoria”
elaborata dagli artisti è improbabile, se non addirittura
impossibile. L'opinione prevalente è che l'artista, se ha qualcosa
da dire, lo debba esprimere attraverso la propria opera. E,
naturalmente, alcuni dei miti ereditati riguardo alla nostra
professione -in quanto provenienti dalla storia religiosa- richiedono
all'artista più un ruolo da stregone che da intellettuale dedito
alla teorizzazione. Nel corso del nostro secolo, questo atteggiamento
è stato in buona parte alimentato da quel baluardo della reazione
anti-intellettuale rappresentato dall'espressionismo e dalla sua
interiorizzazione nel modernismo, quando la pittura eroica è
divenuta una sorta di aura dotata di un proprio valore commerciale
sul mercato. Esso giocava sui miti messianici dell'individualismo
eroico; la sua realtà sociale si fondava sul fatto che la
sopravvivenza economica di un'attività artistica così definita
dipendeva da un'aura derivante dalla sua penuria come merce, in modo
da vendere appunto l'aura, la quale di necessità era rara.
Nell'ultima metà del XX secolo ci siamo trovati circondati da
oggetti funzionanti come reliquie religiose -quadri astratti e
sculture primitive che si prestavano altrettanto bene ad essere
utilizzati come oggetti d'arredamento- senza, però, che la religione
conferisse loro un significato. Pregavamo la scienza e questa forma
di vita culturale avrebbe dovuto colmare il vuoto.
Occorre
separare l'estetica dall'arte perché l'estetica tratta le opinioni
sulla percezione del mondo in generale. Nel passato uno dei due poli
della funzione dell'arte era costituito dal suo valore di
decorazione. Così, ogni settore della filosofia che si occupava
della “bellezza”, e quindi del gusto, doveva inevitabilmente
discutere anche di arte. Da questa “abitudine” derivò la nozione
che esistesse un legame concettuale tra arte e estetica -il che non è
vero. Fino a tempi recenti questa idea non è mai entrata nettamente
in conflitto con considerazioni artistiche, non solo in ragione delle
caratteristiche morfologiche dell'arte che perpetuavano questo
errore, ma anche perché le altre apparenti “funzioni” dell'arte
(raffigurazioni di temi religiosi, ritrattistica di aristocratici,
rappresentazione di particolari architettonici, ecc.) usavano l'arte
per mascherare l'arte.
I critici e gli artisti formalisti
non mettono in questione la natura dell'arte.
Eppure, mettere in questione la natura dell'arte costituisce un
concetto fondamentale nella comprensione della funzione dell'arte.
Il problema della funzione dell'arte venne
sollevato per la prima volta da Marcel Duchamp. Possiamo infatti
attribuire Marcel Duchamp il merito di avere dato all'arte la sua
identità.
Il Ready-made mutò la
natura dell'arte da una questione di morfologia a una questione di
funzione. Questo mutamento dall' “apparenza” alla “concezione”
segnò l'inizio dell'arte “moderna” e l'inizio dell'arte
concettuale.
lunedì 21 marzo 2016
NOSTRO PIERPAOLO
Chi pensa che l'orgoglio sia un sentimento meschino, da sciovinisti e da pocame di destra, involontariamente o volontariamente contribuisce alla catastrofe identitaria e d'amore verso la propria terra. Costoro odiano e il loro contrario è l'aver cura. Aver cura di ciò che ci è prossimo.
Questo ritratto di Pierpaolo Pasolini è l'ultima acquisizione dell'archivio di kultura70.
L'autore è Mimmo Cattarinich. Una foto scattata nel 1973.
Ancora un po' di sforzi per acquisire fotografie che ritraggono Pierpaolo e poi faremo una mostra. Anzi, più di una.
PERCHE' SIAMO ORGOGLIOSI.
IL MACONDO DI MILANO
Il Tempo della città non è
quello degli esseri umani. È più lungo, ma anche più veloce del
nostro: noi, ad esempio, spesso siamo divorati dai ricordi, Milano i
ricorda li divora.
Quelli
antichi, ma anche quelli recenti. Chi si rammenta, infatti, del
Macondo,
inaugurato il 29 ottobre 1977 in via Castelfidardo all’angolo con
via San Marco?
Per chi era giovane allora, quel
locale fu un mito. Ora, a meno di quarant’anni dalla sua nascita,
può al massimo rientrare nelle leggende metropolitane…
I
14 fondatori, tra cui spiccava Mauro Rostagno, ex esponente di spicco
di Lotta
Continua
successivamente
assassinato dalla mafia, volevano dar vita a qualcosa di diverso, di
originale. E così, dopo aver affittato i 1.800 mq di quello che era
stato di un magazzino di materiale elettrico (e prima ancora una casa
del fascio), battezzarono simbolicamente il loro locale con il luogo
dell’utopia inventato in Cent’anni
di solitudine
da
Gabriel García Márquez, a quei tempi un romanzo di culto che
bisognava aver letto a tutti i costi.
La
sera dell’apertura, come ha raccontato a la
Repubblica
una
delle fondatrici, Guia Sambonet, venne creato un boschetto orientale
con delle piante affittate da una serra, furono posate stuoia e
sacchi di iuta mentre «nella grande sala delle colonne avevamo
costruito un labirinto con lenzuoli trasparenti di cellofan, sospesi
a cavi d’acciaio che lasciavano intravedere solo i piedi della
sagoma sfumata di chi lo percorreva».
Fu
un successo, ma alla fine di quella prima notte, per poterlo
preparare al meglio, il Macondo
chiuse
fino a dicembre. Anche grazie a quella inaugurazione, comunque,
quando riaprì diventò subito un punto di riferimento per un
pubblico assai eterogeneo, come era tipico del Movimento ’77, molto
meno ideologico del ’68. Oltre ai soliti freaks,
ad autonomi e a nuovi soggetti metropolitani, futuri inconsapevoli
yuppies
gironzolavano
in un’atmosfera altrettanto variegata per l’arredamento creativo
e per le numerose iniziative, che oltre ai classici dell’epoca
(corsi di yoga, mercatino dell’usato, conferenze di filosofi e
antipsichiatri) e alla storica, simbolica svendita dei cimeli del
’68, in qualche caso anticipavano le tendenze future come nel caso
del ristorante biologico o dei corsi di Tai Chi Chuan, pratica allora
quasi sconosciuta.
Al
Macondo
passarono
molte facce note, e scegliendone solo una impossibile non citare il
glorioso Allen Ginsberg, uno dei massimi esponenti della Beat
Generation.
Tutto, insomma, filava per il verso giusto, ma un luogo così
alternativo aveva ovviamente attirato l’attenzione della stampa e
dell’opinione pubblica più conservatrice, sempre pronta alla
repressione perché invidiosa dell’altrui libertà (e gioia di
vivere). E l’occasione per scatenarsi gliela diede il convegno
sull’Arte
di Arrangiarsi
che
si doveva tenere nel locale e per il quale al Macondo
venne
l’idea di stampare dei falsi biglietti del tram che facevano
riferimento alle droghe leggere: da una parte vi era scritto “Linee
straordinarie metropolitane” con la frase “Vale uno spino”,
dall’altra “il biglietto è cedibile a chiunque altro stia
rollando”, con riferimento all’utilizzo del biglietto per fare da
filtro.
Uno
scherzo, chiaramente. Ma una signora, trovato il tagliando nelle
tasche del figlio, denunciò il locale per spaccio di spinelli e ciò
provocò l’intervento della polizia che il 22 febbraio 1978 fece
irruzione fermando 600 giovani e arrestando i soci fondatori per il
ritrovamento di minime quantità di hascish.
Il clamore che seguì fece diventare il caso nazionale, e anche per
questo motivo il locale viene chiuso. Bisognava dare un esempio a
tutta l’Italia, far vedere che le leggi si rispettavano e che si
combatteva la droga, e così il Macondo
diventò
il classico capro espiatorio, immolato all’ipocrisia tipica della
borghesia.
Al
suo posto, dopo, si sono succeduti vari ristoranti che non hanno
scritto la storia della città, così come non la scriveranno i
prossimi. Se qualcuno, però, volesse saperne di più, vi consigliamo
di cercare il bel documentario Macondo
a Milano
(2005) in cui il regista Michele Sordillo ne ha ricostruito la storia
inframmezzando immagini d’epoca a interviste.
(Articolo di Mauro Raimondi, 29 ottobre 2013, Tellusfolio).
venerdì 18 marzo 2016
TONI FERRO. L'ARTE POLITICA E LA PROP' ART.
L'arte politica
e la prop'art
Tra la fine degli
anni Sessanta e gli anni settanta molti artisti, moltissimi
intellettuali hanno partecipato al Movimento di contestazione.
Ferocemente contrastato dal “Palazzo” e dalla polizia soprattutto
nelle manifestazioni di piazza che esprimevano la solidarietà per
Pino Pinelli “suicida” dalla finestra della questura di Milano,
in quella stessa città dove la strategia della tensione aveva fatto
scoppiare la bomba alla Banca dell'Agricoltura. Quando il
neo-presidente della Repubblica Sandro Pertini arriverà a Napoli,
Ferro gli ricorderà il caso irrisolto di Pino Pinelli ancora mistero
di Stato. Intanto il popolo del dissenso gridava nelle strade: <La
strage è di stato>. E gli artisti del Movimento del Sessantotto,
come si sa, non agivano strettamente in funzione della ragione
estetica quanto in quella della ragione politica e usavano l'arte
come strumento di azione per la rivoluzione culturale.
Il dissenso
raramente può esprimersi attraverso i partiti politici
istituzionalizzati che per loro natura hanno lo scopo di organizzare
e promuovere la politica del consenso al loro programma, sicché la
cultura della creatività, lontana dai loro interessi, emarginata, è
integralmente affidata al dissenso e soprattutto a poeti e artisti.
Interprete di
questa funzione, si può dire storica, è Toni Ferro. E questa gli
viene riconosciuta proprio nel già citato Congresso della F.A.I. In
cui diventa responsabile con il suo Gruppo della Sezione Culturale
del Movimento.
Nelle piazze Ferro
e il gruppo anarchico <Teatro Comunitario> proclamavano: Il
problema della cultura deve essere di piazza e propugnavano
l'autoliberazione anche attraverso l'animazione urbana. Il dissenso
manifestava fortemente la critica al sistema e alla sua cultura
dominante e indicava poi modelli per costruire una nuova società
nella quale educazione ed autoeducazione svolgevano un ruolo
centrale: “L'arte, la creatività -diceva Ferro- sono strumenti per
convogliare energie collettive per la liberazione dell'uomo”.
Va anche detto
che, d'altra parte, gli apparati di potere culturale sono compromessi
con il potere politico ed economico, come sempre. Come sempre l'arte
e la cultura sono una merce. L'arte non è una merce, suo
proclama nella manifestazione alla Biennale di Venezia del 1972,
documento che insieme ai suoi compagni del <Teatro Comunitario>
diffonderà nelle varie lingue e in diversi paesi europei, diventerà
uno slogan assunto dal movimento anarchico europeo e dal movimento
studentesco e fatto circolare in tutto il continente. È un progetto
libertario per la gestione dei linguaggi poetici, è la libera
circolazione della creatività, è dunque di fatto un'aspra critica
alle generazioni e mistificazioni <storiche< orchestrate dal
sistema dell'arte.
Questa performance
a Venezia ha avuto un vasto eco nei media dell'establishment, tanto
che, per dire, fu teletrasmesso dalla BBC come testimonianza diretta,
e dalla stampa (Il Tempo, Gazzettino di Venezia, Epoca lo fa
divenire l'evento centrale dell'inaugurazione della Biennale). La
propagazione a macchia d'olio di questo documento fa discutere e
riflettere, tant'è che la Biennale, l'anno successivo alla
performance di Ferro, organizza un convegno sul tema Arte e Merce,
convegno al quale in un dibattito esteso interviene anche
Pasolini al quale Ferro aveva consegnato il manifesto a Piazza del
Gesù a Napoli “La cultura deve essere di piazza” e il relativo
documento, in una tenera e cordiale conversazione, come Ferro
ricorda.
Ecco la sua
denuncia anche alle cosiddette avanguardie culturali di moda, falsi
storici che si esprimono in concreto con una gestione del linguaggio
funzionale e pertinente alle logiche della classe borghese dominante
e propone gesti liberatori, interventi nelle piazze. Come dichiara il
critico d'arte Guido Montana: “Il problema posto dai compagni di
Teatro Comunitario non è affatto marginale. (…) Ciò che
propongono i compagni di Teatro Comunitario (gesti liberatori,
intervento nelle piazze per fare cultura non mistificata, per
provocare il cittadino e farlo riflettere sulla cultura repressiva
che lo condiziona) ha si un valore determinante, ma solo a una
condizione: che sia soprattutto comportamento e non spettacolo. È
infatti evidente che lo spettacolo può essere comprato o comunque
mistificato (avremmo quindi la mistificazione del demistificatorio).
Il comportamento è, al contrario, un valore intrinseco, connaturato
all'uomo, con il quale l'uomo si manifesta integralmente e con il
quale, a volte, sa pagare di persona. Il comportamento anarchico è
quindi, oggi, la sola cultura possibile, perché, oltretutto, di
impossibile acquisto. Una cultura che non si vende, né si compra,
che non è merce, è già di fatto una zona di anarchia realizzata in
un contesto sociale, in cui operano tutte le sollecitazioni negative
della persona umana, in una società in cui il profitto, il successo,
il potere il privilegio sono divinità assolute che non si
dimenticano. (…) Contro la mistificazione della demistificazione,
una sola arma noi possediamo: l'autenticità del comportamento
liberatorio che all'occorrenza sa irredire, incalzare l'avversario
palese o mascherato, scoprirlo alla luce del sole, dinanzi al popolo
che vuol conoscere la vera cultura”.
L'arte come
proposizione puramente in chiave ideologica, come propaganda, Ferro
la vive in un primo periodo tra il 1968 e il 1972, quando, su invito
di Luigi Castellano, artista critico napoletao di grande cultura,
conosciuto come Luca, entra nel primo nucleo della <Prop'art>,
gruppo di artisti ed intellettuali di propaganda politica, insieme a
Luca, Persico, Napolitano, Cipriano, Desiato, Gravina, Scolavino, Del
Vecchio, Enzo Esposito, Ciro De Falco, e poi tanti altri artisti.
Ferro insieme a questo gruppo prende parte alla decima Quadriennale
d'Arte di Roma del 1973 dove trasformeranno la sala a loro destinata
in un mare di bandiere rosse, tutte uguali, però firmata ognuna da
un artista autore.
Il laboratorio di
ricerca del gruppo di Prop'art esponeva e si raccoglieva presso la
Libreria Guida, a Port'Alba, ai tempi dei famosi incontri organizzati
dai fratelli Guida, librari ed editori, con Umberto Eco, Alberto
Moravia, Pierpaolo Pasolini, Furio Colombo e gran parte della
intellighentia di quegli anni. Questo clima ed il livello di
<discussione> dove nasce la prop'art. Del resto spesso
partecipavano alle riunioni del gruppo, alle analisi e ai progetti,
studiosi quali Goffredo Fofi e Riccardo Scartezzini che da poco erano
arrivati alla Facoltà di Sociologia di Trento, per capirci, ai tempi
di Basaglia. È il tempo, anche, in cui intorno a Filiberto Menna
all'università di Salerno operano Edoardo Sanguineti (poi presidente
onorario della Consulta Regionale della Campania per la Cultura a cui
è chiamato come Segretario Generale Toni Ferro), Enrico Crispolti,
Achille Bonito Oliva e Achille Mango.
Su un unico
argomento mostra per mostra gli artisti del gruppo creano un'opera
del formato 70x100 dopo aver discusso e deciso il tema:
l'anticlericalismo, l'antimilitarismo, l'antirazzismo, tanto per
citare, e altri. I lavori esposti nella saletta superiore della
Libreria Guida, mostra per mostra a tema unico, come ho detto,
venivano poi richiesti ed esposti in varie altre occasioni, spesso
nei festival dell'Unità.
Gli artisti di
questo gruppo saranno poi impegnati con le loro opere nella grande
azione di propaganda della sinistra e del mondo laico italiano per il
Referendum sul divorzio e per quello sull'aborto.
Come si vede, il
loro progetto non è fare arte tout court, quanto allestire un
modello di comunicazione più diretto e politico, appunto di
propaganda, dove dal discorso per immagini, dai temi viene fuori un
messaggio di contestazione, di rivendicazione civile, rivoluzionario.
La funzione dell'artista, qui, non è quella di un operatore
estetico, né di un professionista di galleria, il suo ruolo è di
dare un contributo alla lotta di classe. Allo slogan: <Studenti e
operai uniti nella lotta> si aggiunge quello di <Studenti,
operai e artisti uniti nella lotta>, per la costruzione di un
grande movimento che unisce rivendicazione sociale e rivendicazione
culturale e politica. Quest'arte di propaganda politica è il
progetto di una nuova scrittura corrispondente al pensiero comunista
e socialista dove il popolo è il referente; è un'arte didattica,
educativa e informativa per la crescita della coscienza di classe,
appunto, per la difesa del proletariato (soprattutto per i marxisti)
e del sottoproletariato (soprattutto per gli anarchici, Ferro e
Napolitano). In questo senso e in questi termini Ferro programmava
col gruppo della Prop'art le azioni e i discorsi.
La Prop'art non ha
niente a che vedere con quella che viene definita arte socialista,
non è oliografia, arte neo-figurativa, illustrativa, celebrativa e
retorica della vita e delle cose del popolo; non è demagogia dove
mentre si esalta il popolo lo si fa con un linguaggio artistico
vecchio, proprio dell'arte borghese, pietistica e paternalista. E non
è neanche il linguaggio di Guttuso, più popolaresco che popolare, e
non è neanche la pittura di Siqueiros, nobile combattente, eroe
rivoluzionario a cui tanto si deve per l'evoluzione della Rivoluzione
Messicana perché la Prop'art intendeva essere rivoluzionaria sia nei
temi che nel linguaggio, poiché una civiltà nuova può essere
espressa soltanto da un nuovo linguaggio.
(Da Petruzza Doria.
JOSEPH BEUYS E TONI FERRO ARTISTI DEL
DISSENSO. Poetica, estetica e
pedagogia libertaria. Gangemi
Editore, 1997.)
giovedì 17 marzo 2016
BANDIERA NERA. VALPREDA E LO STATO.
CICLOSTILE GRUPPI ANARCHICI BANDIERA NERA. "LO STATO E' CRIMINALE, PROCESSIAMO LO STATO". 2/1/1973. ARCHIVIO KULTURA70.
IL LINGUAGGIO BESTIA
Fu Bruno a mettermi in testa il linguaggio bestia: una lingua
inventata dal suo amico americano Michael McClure, un tipo abbastanza
fuori della beat generation.
Bruno non apparava mai. Era uno che
fuma sempre a scrocco. Noi lo accettavamo sempre e comunque, perché ci
faceva aumentare lo sballo con i suoi discorsi seri e inauditi. In
alcuni casi ci faceva viaggiare oltre le irte barricate del senso
comune, condiviso.
Bruno era veramente fuori. E lo era da un bel pezzo. Da quando gli venne, a detta sua, un forte mal di testa.
Prima del mal di testa era un tipo intraprendente, aveva molto fascino e
tutti quanti ambivano a diventare suoi amici, e tutte quante se lo
volevano scopare perché era molto sveglio e si faceva rispettare nel
quartiere.
<craaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaacc
kkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkkk!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!>
Il suo cervello se ne andò verso la fine degli anni '60 in una festa
psichedelica a Ibiza. O forse sono state, come dicono in tanti, tutte
quelle pellicole fotografiche a colori che si leccava.
<Voi
ragazzini vi sballate per cazzeggiare. La droga è una cosa seria, non si
scherza.> ci diceva ogni volta mentre tirava la canna come un
ossesso: sempre come se fosse stato l'ultimo atto della sua vita.
Parlava sempre e non la passava mai. < Se vi sballate così non vi
resta nulla. Dovete fare attenzione alle percezioni che vi procura.
Dovete introiettare l'energia e farne memoria, così che possa continuare
la sua azione anche oltre lo sballo>.
<Vi insegno come
fare>. Fu una notte molto promettente quella. <Dovete salmodiare
l'Om trecento volte insieme a me> ci disse.
<che cazzo vuol
dire Bruno 'sto salmone.> gli fece Rino, un po' spazientito, mentre
guardava penzolare la canna dal suo labbro. Bruno quella volta, molto
stranamente, non si infastidì, come spesso accadeva quando veniva
interrotto nei suoi discorsi, anzi, con gli occhi spaventosamente aperti
e con le pupille rivolte in alto a far diventare i globi quasi del
tutto bianchi e la canna sempre più rovente in bocca, quietamente ci
disse:< dovete chiudere gli occhi e ripetere insieme a me queste
parole: Aum mani padme om, aum mani padme om, aum mani padme om, aum
mani padme om, aum mani padme om, aum mani padme om, aum mani padme om,
aum mani padme om, aum mani padme om, aum mani padme om, aum mani padme
om, aum mani padme om, aum mani padme om, aum mani padme om, aum mani
padme om, aum mani padme om>.
Pino improvvisamente sorvolava come
un'aquila reale le distese sterminate del Nebraska. Paolo era sopra una
vecchia Harley Davidson e percorreva un lungo viale profumato dai tigli
in una giornata di sole accecante e indossava un paio di occhiali
Ray-Ban tipo i Chips. Rino faceva del sesso con una cubana dal pelo
rosso: è sempre stato il suo sogno. Giancarlo diminuiva gradualmente la
frequenza del suo tic rattofobico: si girava sempre indietro per paura
che qualche topo grosso gli morsicasse il culo, come già gli era
accaduto un anno prima sopra gli scogli a Pozzuoli. Lillo era quello che
ci credeva sempre più di tutti e come a suo solito non disse nulla. A
me invece venne in mente il linguaggio bestia; quella lingua strana.
Accadde che un giorno incontrai Bruno per strada. Stavo andando in
biblioteca. Lui pretese che gli offrissi il caffè e così glie l'offrii.
Mentre stavo per andarmene, mi diede una cassetta gialla su cui c'era
scritto a pennarello e in pessima calligrafia: “Il tantra del fantasma”.
Era la registrazione audio di poesie scritte da quel suo amico di San
Francisco, che Bruno traduceva e interpretava e per qualche soldo
vendeva in giro.
Mi disse solo: <questa è roba seria.> e poi si dileguò.
Nello zaino avevo messo il mio usuratissimo walkman. Quindi strada facendo misi la cassetta e incominciai ad ascoltare:
<GUUUUUUUUR! GRUUUUUUUUUUUUUUUUH! GOOOOOOOOO RUUUUUUUUUUUUUH! PAUFF! RAHH! BLAHHR!>.
Una serie di vocalizzi inumani. Da animale rabbioso.
<I VANI DELLE PORTE SONO GIARDINI SPOGLI DI FRESCHE OMBRE!
GLI INGRESSI SONO GIARDINI DELLA FUTURITA'! GAHRUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUH! GAHRUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUH!>.
Nei giorni a venire l'ho ascoltata e riascoltata. Praticamente non ho
fatto altro che ascoltare quella cassetta per una settimana intera.
Quella lingua insulsa riuscì a farmi vedere la realtà per quello che
realmente era. Bastava doppiare ciò che vedevo con le parole bestia
contenute nella cassetta e tutto poi cambiava di significato.
Si può
dire che d'improvviso capii. Capivo il telegiornale per quello che
realmente era. Capivo i film porno. Capivo i miei genitori. Capivo il
mio professore di disegno dal vero. Ecc. ecc. Insomma, tutto diventava
fondamentalmente capibile, semplice, quasi banale.
Ancora oggi, a
distanza di anni, se qualcosa mi resta difficile o parlo con
qualcuno che si esprime in modo molto complesso
penso al linguaggio bestia.
mercoledì 16 marzo 2016
UN CANNONE CONTRO OGNI GUERRA
Questa bella immagine –
dallo scatto del fotografo Dino Fracchia, di cui kultura70 ne
custodisce gelosamente una stampa – ritrae una scherzosa
raffigurazione di un “cannone di cannabis” come simbolo della
protesta da parte di un gruppo di pacifisti radicali alla frontiera
Francia-Germania nel lontano (oramai) 1977.
Dalle battaglie per le
libertà umane e da quelle innumerevoli manifestazioni e marce che i
radicali di tutta Europa hanno condotto, quella del disarmo
unilaterale (parola dall'apparente tecnicismo che sta a significare
“non aspettare che altre teste... gloriose depongano le armi. Fallo
prima tu! Senza “se” e senza “ma”) resta una utopia: con la
precisione l'ultima, dopo la rinascita dei dinosauri belli.
Oggi non ci si nasconde
più dietro il Maciste dell'armamento. Oggi non ci si corazza più.
Oggi si fanno le
“guerre per la pace”.
In buona sostanza è un
po' come fottere per la verginità.
Dalle mie parti, quando
ero un ragazzino, se qualcuno enunciava una enormità, soleva
chiamarsi addosso un'invettiva precisa e particolare da noi scugnizzi
(così avete capito da che parte vengo): “ma fatt' 'na canna!”.
Ora, statemi a sentire,
congiungete le mani alla bocca a formare un imbuto e urlate insieme a
me:
FATEVI
UN CANNONE!!!!!!!!!!!!
che
è meglio.
martedì 15 marzo 2016
RENUDOPOP FESTIVAL
fuori
dagli stadi
usciamo
alla luce del sole
re nudo settembre
1971 – nr. 7
Mentre andiamo in
macchina hanno già dato l'adesione una ventina di complessi e
cantanti folk (I Trip, Claudio Rocchi, i Wild dogs, Anna Jenchek,
Jonatah e altri, tanti altri belli, bravi e compagni. Se il ritmo
delle adesioni continua così, il giorno 25 alle tre, quando
s'inizierà, saranno presento oltre 40-50 fra complessi e cantanti
folk. L'ingresso sarà a offerta libera e proprio per questo
ricordiamo ai compagni, agli amici quanto sia importante anche un
piccolo contributo di ognuno per far si che questo festival sia
veramente il 1° di una lunga serie.
Noi vorremmo fosse
la prova generale del più grande raduno pop italiano che vogliamo
fissare per il 2 giugno 1972. Oggi 24 ore, la prossima volta 3
giorni.
PROGRAMMA: canzoni
pop, folk e rock, italiane e straniere, delle quali verranno lette le
traduzioni (almeno di alcune). Si leggeranno dei messaggi che
compagni e fratelli incarcerati ci hanno mandato per questo festival
che è anche loro.
SERVIZI: Ci saranno
banchi dove i panini costeranno 100 lire, così come le bibite e le
birre. Funzionerà anche un pronto soccorso con compagni medici.
ITINERARIO: Da
Milano a Lecco si consiglia il treno o l'autostop (superstrada). Da
Lecco a Ballabio c'è un pullman che passa ogni venti minuti circa.
Gli orari dei
treni: 12.00 – 14.05 – 16.16 – 17.40 – 19.00 tutte le
partenze dalla stazione Centrale di Milano.
Da Ballabio a
Montalbano (qualche centinaio di metri) funzioneranno cartelli
segnaletici provvisori. Alcuni compagni si occuperanno di facilitare
il flusso delle auto, consigliamo comunque di parcheggiare a
Ballabio, all'inizio del paese, per non intasare la strada che porta
al raduno.
PER METTERSI IN
COMUNICAZIONE: Per i complessi che vogliono partecipare, per tutti
coloro che desiderano chiarimenti e consigli, telefonate direttamente
ai compagni di Lecco: Felice 034126240; Mino 0341 98389; Roberto
034128988; Sandro 034134824; Ludovico 0341 32375. Il concerto è
autorizzato; si suona anche con la pioggia: preparatevi al peggio! Si
andrà avanti finché si resisterà e sicuramente fino a domenica
pomeriggio.
Caricatevi per
stare svegli tutta la notte.
lunedì 14 marzo 2016
RE NUDO: COSA E' IL "MOVIMENTO".
COSA
E' IL “MOVIMENTO”.
Settembre
1971 – nr. 7
Non siamo un gruppo
politico né lo vogliamo diventare. Siamo movimento, o meglio, siamo
interni al movimento che potenzialmente e di fatto esiste già oggi
nella situazione italiana. Noi crediamo che il movimento non si
identifichi ne sia esterno per definizione ad alcuna delle
organizzazioni rivoluzionarie esistenti. Per la sua stessa
collocazione oggettiva il movimento taglia orizzontalmente tali
organizzazioni: le discriminanti sono gli stessi argomenti che
trattiamo. Ci sono dei compagni di gruppi rivoluzionari che sentono
di essere dentro a questa tematica, altri, negli stessi gruppi si
considerano fuori. Il movimento comprende i giovani ribelli dei
quartieri, delle fabbriche, i giovani immigrati che il capitalismo
trasforma in teppisti e che vanno ad affollare le carceri, i matti
col pugno chiuso che abbiamo incontrato a Mombello, gli studenti medi
scazzati dalle egemonie ideologistiche e vuote di questo o di quello,
gli apprendisti che si sentono disadattati come è disadattato
l'operaio Fiat: tutto questo è movimento.
C'è un elemento
comune che ci unifica: il fatto di essere giovani. Non diciamo che <i
giovani sono una classe> come hanno detto ai loro tempi certi
minchioni; è però una verifica che chiunque può fare come siano
tutti giovani gli operai, i proletari, gli apprendisti, i
disadattati, i carcerati, tutti i compagni che lottino, che vogliano
vivere in un mondo nuovo. Sono giovani coloro che rifiutano lo schema
<casa-fabbrica-casa> o <casa-sezione-casa> o ancora
<casa-scuola-casa>, dove la politica viene fatta in fabbrica,
in sezione, a scuola e basta. Sono giovani i compagni che sempre di
più rifiutano di alienarsi in una militanza <a tempo pieno>,
<a mezzo tempo> o <a ore>, perché si rendono conto di
quanto sia esterno questo modo di fare politica alla propria
condizione: quanto poco li coinvolga esistenzialmente.
Come abbiamo già
detto (Re Nudo N. 6 Editor.) fino a che non si supera la scissione
tra lavoro politico e vita esistenziale, l'impegno dei compagni, dei
militanti o sarà alienante o non sarà; cioè durerà ben poco.
C'è
un compagno tutta-fabbrica che stà arricciando il naso;
compagno tutta-fabbrica che arricci il naso, non è forse vero che i
giovani proletari coi capelli lunghi che vedi ai cancelli della Fiat,
nelle occupazioni delle case, agli spettacoli pop (ah già che tu non
ci vai), non è forse vero che questi proletari sono diversi dai
loro genitori, pure operai, pure proletari, magari iscritti al PCI?
Lo sono, certo che lo sono, per tutte le cose: per la lotta dura, per
l'amore, per l'erba, per la vita in comune, quella che si fa 12 ore
al giorno. A trenta-quarant'anni se non si è riusciti a rompere; è
biologicamente, economicamente difficile riuscire a farlo.
Iniziare
a quarant'anni è difficile anche perché alle spalle ci sono due
ventenni di condizionamento fascista, borghese che è ben difficile
buttare a mare. Al convegno di lotta continua a Bologna, uno
criticando il giornale mi ha detto severo severo: <ti sembra da
comunisti andare a fare il bagno nudi?> Era un operaio caro
compagno tutta-fabbrica; e chi poteva essere se non un operaio
<vecchio?> (O
forse... potevi essere tu!) Non c'è disprezzo in queste parole, c'è
solo amarezza; è del resto inevitabile che dei proletari educati e
condizionati dall'ideologia borghese della famiglia e della morale
repressiva, picchino le mogli, chiudano in casa le figlie alle otto
di sera e dicono loro <puttana> se si bagnano nude nel
torrente.
Rivoluzionario in
fabbrica e reazionario in famiglia: è questa una contraddizione che
non si risolve solo andando al cinema con loro, magari scopandoci di
tanto in tanto, ma senza credere di poterla risolvere totalmente
prima della rivoluzione; è necessario affrontarla di petto,
considerando il problema esistenziale fondamentale per la formazione
dell'uomo nuovo; fin da ora, si deve cambiare la vita.
venerdì 11 marzo 2016
DADAISMO INVOLONTARIO
Ogni domenica mattina vado al mercatino dell'usato. Mi sveglio di buon ora per essere tra i primi a rovistare tra un pattume di oggetti insulsi e fuori uso per trovare posters, libri, fotografie ed altro materiale di mio interesse riguardante la cultura degli anni sessanta e settanta. Mi capita spesso di fare buoni affari, del tipo: mi è capitato poco tempo fa di acquistare un libro d'artista di Edward Ruscha!
Domenica scorsa mi è capitato di acquistare, quello che pareva essere proprio un libro d'artista e anche molto interessante e anche raro.
Per via della brevità dei rapporti d'acquisto tipica della caoticità dei mercatini , non ho avuto tempo a sufficienza per rendermi conto né chi fosse l'autore né tanto meno l'anno di edizione. Vidi rapidamente immagini curiose in bianco e nero accompagnate da slogan parodistici (tipica iconografia di contestazione degli anni settanta) con indubbia vocazione neo-dadaista. E questo mi bastò per chiedere fulmineamente il prezzo all'ambulante (chi frequenta i mercatini sa che se ti intrattieni troppo ad osservare un prodotto, chi lo vende mangia la foglia e ti spara più di quello che dovrebbe). Così per pochi soldi lo acquisto e metto in borsa.
Arrivato a casa, avendo il tempo per analizzarlo, mi sono reso conto che non era un libro d'artista neo-dadaista. Anzi...
Ora non voglio descrivervelo scrivendo, vi lascio osservare e denotare in piena libertà direttamente dalle immagini. Che mi hanno ingannato!
Però vi devo almeno dire la natura e la finalità di questo libricino. Trattasi di un cataloghino pubblicitario di un farmaco psicostimolante: “IDEOLIDER”.
Oramai fuori commercio.
Comunque, ho acquistato un signor libro d'artista.
Cosa ne pensate?
giovedì 10 marzo 2016
L'INTERNAZIONALE DELLA MEDIOCRITA'
Di Pierre Restany.
Verso l'estetica generalizzata. Galleria Apollinaire, Milano, dicembre 1967.
"Saluto il XXI secolo, che è la mia epoca, il mio presente e il mio divenire. Ma mi domando: il XX secolo è mai esistito? Le conseguenze bastarde del romanticismo non hanno fatto che proliferare fino al 1960, coperte dal surrealismo, dalla fantascienza o dall'action painting. Dalla filosofia al teatro, dalla politica alla pittura, il romanticismo aveva dato una risposta a tutto. Il suo segreto era semplice, racchiuso in una definizione del lirismo: la manifestazione dell'essere in movimento. In fondo la vita non è che linguaggio e questa estroversione sistematica dell'ontologia ha creato una bella confusione. L'esistenza è stata resa simile all'urgenza espressiva. Così si è sviluppata la nozione soggettiva dell'arte concepita come una singolarizzazione del linguaggio. A partire dallo <stile> di un'epoca, tronco principale che è lo strumento della comunicazione base, irradiano i rami particolari della personalità individuale. Non si tratta in alcun modo di rimettere in questione i fondamenti di un linguaggio strumentale tanto più efficiente quanto meglio è assimilato, ma di sfruttare le varianti per dei fini personali: carriera, produzione, mercato. Quest'affanno dell'espressione <individuale> ha proiettato il XX secolo romantico al di là dei suoi limiti temporali: non ha mai finito di morire ….. ….. Fino al giorno in cui è nato un senso nuovo della natura moderna che gli ha dato il colpo di grazia: una natura perfettamente oggettiva, concepita non più esclusivamente nei suoi rapporti di relazione con l'io, ma esistente in sé come il prodotto di una sintesi collettiva, il fenomeno industriale e urbano, repubblica dei nostri scambi sociali, bene comune dell'attività di tutti gli uomini. Lo sviluppo dei mass media ha reso ancor più tangibile il fenomeno, fornendoci gli elementi di dettaglio d'un linguaggio immediato: la fonte di un nuovo folklore. Pionieri del rovesciamento realista dei valori, neo-dada e nuovi realisti, assumendo i gesti limite dell'appropriazione del reale, hanno aperto la strada alla pop art. mentre gli europei creavano una poesia e una sintassi per i ready-made di Marcel Duchamp, gli americani scoprivano la ricchezza espressiva della loro cultura industriale attraverso la contestazione del folklore moderno. Tutto sembrava il meglio nel migliore dei modi. Ahimè, è dura la vita del cattivo pittore romantico. Immerso nella banalità quotidiana, sottoposto alla spietata concorrenza dei mezzi moderni della comunicazione visuale, spaventato poi dall'anacronismo della sua situazione, ha creduto di trovare un ancora di salvezza nella singolarizzazione del banale. E come singolarizzare il banale, se non sofisticandolo? Si truccano a tutt'andare le cartoline, i fumetti, i piani cinematografici e le sequenze televisive. Va bene tutto purché – a partire da questa contingenza anonima diventata il grado zero della percezione – appaia la traccia <pittorica> tangibile dell'espressione individuale. Così, ancora oggi, si pretende di giustificare la produzione massiccia del quadro e l'esistenza del collezionista. La mediocrità della sedicente figurazione narrativa è quella dei suoi protagonisti e del suo pubblico. Il continuo crescere di questa industria bassamente figurativa rispecchia la proliferazione di un'interpretazione della mediocrità preoccupata innanzi tutto di non fare sforzi mentali. Da Milano a Bruxelles, da Parigi a Tokyo o Buenos Ayres, una generazione di piccolo-borghesi modernisti intende godere in pace la relativa prosperità del suo dopoguerra: ha trovato i suoi piccoli maestri. Questa iconografia minore illustra il calo culturale di un'epoca in piena transizione, stordita di fronte all'inesorabile mutamento dei valori. Gli eterni cornuti della storia sono naturalmente dei gran chiacchieroni. I sofismi fanno da paravento alla loro impotenza percettiva. I pittori narrativi incarnano le illusioni di questo parolare e il fumetto è divenuto lo specchietto per le allodole. Tutte le proposte dell'iconografia moderna non presentano – per nostra grande fortuna – il carattere d'anacronistica povertà della figurazione narrativa. L'arte meccanica tende a ristrutturare l'immagine piana ricorrendo esclusivamente ai mezzi foto-meccanici: riporti fotografici, analisi di retini, impressioni dirette su superfici sensibilizzate, ecc. sono modi d'espressione che esigono tirature illimitate e la negazione implicita del vecchio concetto di opera unica. Il divenire dell'arte è d'altronde lontano dall'identificarsi col puro e semplice destino dell'immagine piana. L'arte del XXI secolo ha abbandonato il salone e il museo per la fabbrica e la strada: è un addio senza ritorno. L'attuale evoluzione delle forme pluridimensionali d'espressione fa chiaramente testimonianza al fenomeno. Se il mito dell'anno 2000 ha ancora un senso è perché incarna il simbolo della metamorfosi di tutti i linguaggi. In una società che si prepara a vivere la sua Seconda Rivoluzione Industriale sfociando nell'era dell'automazione e del tempo disponibile, la funzione dell'arte è cambiata. È l'elemento catalizzatore della sensibilità collettiva e dell'emozione individuale. Una festa dello spirito e dei sensi, una metamorfosi collettiva a favore di un più grande numero. L'internazionale della mediocrità traduce sotto le sue false sembianze moderniste l'inerzia culturale dell'epoca: i riflessi residuali del passato romantico, la paura e la pigrizia hanno creato il falso problema della narrazione figurativa. Hanno gli occhi e non vedono! Tanto peggio per i mediocri. Non si va contro il progresso, contro questa verità dinamica che ha in sé stessa la sua propria rivelazione. Concepita da poeti del tempo libero e da specialisti della sensibilità urbana, l'arte di domani sarà un'arte totale corrispondente a un'estetica popolare generalizzata, fondamento delle indispensabili metamorfosi planetarie”.
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