venerdì 18 marzo 2016

TONI FERRO. L'ARTE POLITICA E LA PROP' ART.

 
L'arte politica e la prop'art

Tra la fine degli anni Sessanta e gli anni settanta molti artisti, moltissimi intellettuali hanno partecipato al Movimento di contestazione. Ferocemente contrastato dal “Palazzo” e dalla polizia soprattutto nelle manifestazioni di piazza che esprimevano la solidarietà per Pino Pinelli “suicida” dalla finestra della questura di Milano, in quella stessa città dove la strategia della tensione aveva fatto scoppiare la bomba alla Banca dell'Agricoltura. Quando il neo-presidente della Repubblica Sandro Pertini arriverà a Napoli, Ferro gli ricorderà il caso irrisolto di Pino Pinelli ancora mistero di Stato. Intanto il popolo del dissenso gridava nelle strade: <La strage è di stato>. E gli artisti del Movimento del Sessantotto, come si sa, non agivano strettamente in funzione della ragione estetica quanto in quella della ragione politica e usavano l'arte come strumento di azione per la rivoluzione culturale.
Il dissenso raramente può esprimersi attraverso i partiti politici istituzionalizzati che per loro natura hanno lo scopo di organizzare e promuovere la politica del consenso al loro programma, sicché la cultura della creatività, lontana dai loro interessi, emarginata, è integralmente affidata al dissenso e soprattutto a poeti e artisti.
Interprete di questa funzione, si può dire storica, è Toni Ferro. E questa gli viene riconosciuta proprio nel già citato Congresso della F.A.I. In cui diventa responsabile con il suo Gruppo della Sezione Culturale del Movimento.
Nelle piazze Ferro e il gruppo anarchico <Teatro Comunitario> proclamavano: Il problema della cultura deve essere di piazza e propugnavano l'autoliberazione anche attraverso l'animazione urbana. Il dissenso manifestava fortemente la critica al sistema e alla sua cultura dominante e indicava poi modelli per costruire una nuova società nella quale educazione ed autoeducazione svolgevano un ruolo centrale: “L'arte, la creatività -diceva Ferro- sono strumenti per convogliare energie collettive per la liberazione dell'uomo”.
Va anche detto che, d'altra parte, gli apparati di potere culturale sono compromessi con il potere politico ed economico, come sempre. Come sempre l'arte e la cultura sono una merce. L'arte non è una merce, suo proclama nella manifestazione alla Biennale di Venezia del 1972, documento che insieme ai suoi compagni del <Teatro Comunitario> diffonderà nelle varie lingue e in diversi paesi europei, diventerà uno slogan assunto dal movimento anarchico europeo e dal movimento studentesco e fatto circolare in tutto il continente. È un progetto libertario per la gestione dei linguaggi poetici, è la libera circolazione della creatività, è dunque di fatto un'aspra critica alle generazioni e mistificazioni <storiche< orchestrate dal sistema dell'arte.
Questa performance a Venezia ha avuto un vasto eco nei media dell'establishment, tanto che, per dire, fu teletrasmesso dalla BBC come testimonianza diretta, e dalla stampa (Il Tempo, Gazzettino di Venezia, Epoca lo fa divenire l'evento centrale dell'inaugurazione della Biennale). La propagazione a macchia d'olio di questo documento fa discutere e riflettere, tant'è che la Biennale, l'anno successivo alla performance di Ferro, organizza un convegno sul tema Arte e Merce, convegno al quale in un dibattito esteso interviene anche Pasolini al quale Ferro aveva consegnato il manifesto a Piazza del Gesù a Napoli “La cultura deve essere di piazza” e il relativo documento, in una tenera e cordiale conversazione, come Ferro ricorda.
Ecco la sua denuncia anche alle cosiddette avanguardie culturali di moda, falsi storici che si esprimono in concreto con una gestione del linguaggio funzionale e pertinente alle logiche della classe borghese dominante e propone gesti liberatori, interventi nelle piazze. Come dichiara il critico d'arte Guido Montana: “Il problema posto dai compagni di Teatro Comunitario non è affatto marginale. (…) Ciò che propongono i compagni di Teatro Comunitario (gesti liberatori, intervento nelle piazze per fare cultura non mistificata, per provocare il cittadino e farlo riflettere sulla cultura repressiva che lo condiziona) ha si un valore determinante, ma solo a una condizione: che sia soprattutto comportamento e non spettacolo. È infatti evidente che lo spettacolo può essere comprato o comunque mistificato (avremmo quindi la mistificazione del demistificatorio). Il comportamento è, al contrario, un valore intrinseco, connaturato all'uomo, con il quale l'uomo si manifesta integralmente e con il quale, a volte, sa pagare di persona. Il comportamento anarchico è quindi, oggi, la sola cultura possibile, perché, oltretutto, di impossibile acquisto. Una cultura che non si vende, né si compra, che non è merce, è già di fatto una zona di anarchia realizzata in un contesto sociale, in cui operano tutte le sollecitazioni negative della persona umana, in una società in cui il profitto, il successo, il potere il privilegio sono divinità assolute che non si dimenticano. (…) Contro la mistificazione della demistificazione, una sola arma noi possediamo: l'autenticità del comportamento liberatorio che all'occorrenza sa irredire, incalzare l'avversario palese o mascherato, scoprirlo alla luce del sole, dinanzi al popolo che vuol conoscere la vera cultura”.
L'arte come proposizione puramente in chiave ideologica, come propaganda, Ferro la vive in un primo periodo tra il 1968 e il 1972, quando, su invito di Luigi Castellano, artista critico napoletao di grande cultura, conosciuto come Luca, entra nel primo nucleo della <Prop'art>, gruppo di artisti ed intellettuali di propaganda politica, insieme a Luca, Persico, Napolitano, Cipriano, Desiato, Gravina, Scolavino, Del Vecchio, Enzo Esposito, Ciro De Falco, e poi tanti altri artisti. Ferro insieme a questo gruppo prende parte alla decima Quadriennale d'Arte di Roma del 1973 dove trasformeranno la sala a loro destinata in un mare di bandiere rosse, tutte uguali, però firmata ognuna da un artista autore.
Il laboratorio di ricerca del gruppo di Prop'art esponeva e si raccoglieva presso la Libreria Guida, a Port'Alba, ai tempi dei famosi incontri organizzati dai fratelli Guida, librari ed editori, con Umberto Eco, Alberto Moravia, Pierpaolo Pasolini, Furio Colombo e gran parte della intellighentia di quegli anni. Questo clima ed il livello di <discussione> dove nasce la prop'art. Del resto spesso partecipavano alle riunioni del gruppo, alle analisi e ai progetti, studiosi quali Goffredo Fofi e Riccardo Scartezzini che da poco erano arrivati alla Facoltà di Sociologia di Trento, per capirci, ai tempi di Basaglia. È il tempo, anche, in cui intorno a Filiberto Menna all'università di Salerno operano Edoardo Sanguineti (poi presidente onorario della Consulta Regionale della Campania per la Cultura a cui è chiamato come Segretario Generale Toni Ferro), Enrico Crispolti, Achille Bonito Oliva e Achille Mango.
Su un unico argomento mostra per mostra gli artisti del gruppo creano un'opera del formato 70x100 dopo aver discusso e deciso il tema: l'anticlericalismo, l'antimilitarismo, l'antirazzismo, tanto per citare, e altri. I lavori esposti nella saletta superiore della Libreria Guida, mostra per mostra a tema unico, come ho detto, venivano poi richiesti ed esposti in varie altre occasioni, spesso nei festival dell'Unità.
Gli artisti di questo gruppo saranno poi impegnati con le loro opere nella grande azione di propaganda della sinistra e del mondo laico italiano per il Referendum sul divorzio e per quello sull'aborto.
Come si vede, il loro progetto non è fare arte tout court, quanto allestire un modello di comunicazione più diretto e politico, appunto di propaganda, dove dal discorso per immagini, dai temi viene fuori un messaggio di contestazione, di rivendicazione civile, rivoluzionario. La funzione dell'artista, qui, non è quella di un operatore estetico, né di un professionista di galleria, il suo ruolo è di dare un contributo alla lotta di classe. Allo slogan: <Studenti e operai uniti nella lotta> si aggiunge quello di <Studenti, operai e artisti uniti nella lotta>, per la costruzione di un grande movimento che unisce rivendicazione sociale e rivendicazione culturale e politica. Quest'arte di propaganda politica è il progetto di una nuova scrittura corrispondente al pensiero comunista e socialista dove il popolo è il referente; è un'arte didattica, educativa e informativa per la crescita della coscienza di classe, appunto, per la difesa del proletariato (soprattutto per i marxisti) e del sottoproletariato (soprattutto per gli anarchici, Ferro e Napolitano). In questo senso e in questi termini Ferro programmava col gruppo della Prop'art le azioni e i discorsi.
La Prop'art non ha niente a che vedere con quella che viene definita arte socialista, non è oliografia, arte neo-figurativa, illustrativa, celebrativa e retorica della vita e delle cose del popolo; non è demagogia dove mentre si esalta il popolo lo si fa con un linguaggio artistico vecchio, proprio dell'arte borghese, pietistica e paternalista. E non è neanche il linguaggio di Guttuso, più popolaresco che popolare, e non è neanche la pittura di Siqueiros, nobile combattente, eroe rivoluzionario a cui tanto si deve per l'evoluzione della Rivoluzione Messicana perché la Prop'art intendeva essere rivoluzionaria sia nei temi che nel linguaggio, poiché una civiltà nuova può essere espressa soltanto da un nuovo linguaggio. 

(Da Petruzza Doria. JOSEPH BEUYS E TONI FERRO ARTISTI DEL DISSENSO. Poetica, estetica e pedagogia libertaria. Gangemi Editore, 1997.)
 

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