Poi la Trans-avanguardia, L'idea di Achille Bonito Oliva di ridestare il prodotto artistico che trascende l'idea darwinistica dell'arte, per cui l'artista andrebbe non più a contrapporsi al pensiero preesistente, ma agirebbe trasversalmente.
L'opera, stando all'idea della Trans-avanguardia, è un mosaico di estetiche consumate. Una sorta di controlinguaggio-addomesticato, paradigma, e qui la grossa intuizione imprenditoriale di Oliva, del consumismo edonistico. Oliva è stato il precursore del berlusconismo: annichilire il desiderio del complesso, del mutamento, togliere dal campo l'indeterminazione del significato per ridestare il "saputo", in poche parole il banale. Soddisfare il godimento della media. Portare la ricerca artistica sotto forma di frappè. Gustoso ovviamente. Molto gustoso.
Achille Bonito Oliva è stato un vero genio. Direi un visionario. Intuì già nell'ottanta la società mediocre e narcinistica che sarebbe diventata l'Italia dopo la grande abboffata intellettuale e borghese del concettualismo, puntando tutto sul ribasso entropico del significante (comunicazione a basso carico informativo). Opere da vendere a bocche buone, per tutti, per i piccolo borghesi.
In ricordo di coloro che abbatterono i tasselli del banale, riporto alcuni brevi passaggi di teoria dell'arte di Filiberto Menna:
Nel momento dell'espansione,
l'arte fornisce modelli di comportamento, si trasforma in azione
estetica e in evento vitale. La tecnica preferita dall'artista è lo
sconfinamento dai limiti tradizionali che separano le diverse arti
dagli strumenti linguistici da queste impiegati; i veicoli
privilegiati diventano infatti il gesto e il corpo nella sua
totalità. Nel momento della concentrazione, l'arte si presenta come
autoriflessione, come esercizio della mente che analizza i propri
procedimenti in rapporto all'area di esperienze storicamente definita
come arte.
Queste due polarità del vitale
e del mentale, dell'espansione e della concentrazione hanno assunto
di volta in volta il ruolo di protagonisti della scena artistica,
almeno a partire dalla seconda metà degli anni sessanta: in un
saggio pubblicato su “Art International” nel febbraio del 1968 e
intitolato “The Dematerialisation of Art” due critici americani,
Lucy Lippard e John Chandler,
avevano chiaramente individuato queste due linee di tendenza della
ricerca artistica e indicato anche il loro denominatore comune in un
marcato disinteresse per l'opera d'arte intesa come oggetto: “Le
arti visuali al momento attuale sembrano oscillare a un bivio, che
però potrebbe rivelarsi semplicemente un modo diverso per arrivare
allo stesso punto, sebbene provenga da due fonti di partenza: l'arte
come idea e l'arte come azione. Nel primo caso, la materia viene
negata dal momento che la sensazione è stata convertita in concetto;
nel secondo, la materia è stata trasformata in energia e processo
temporale”.
La dematerializzazione,
pertanto, non è il fine di questo tipo di ricerca, ma piuttosto una
conseguenza necessaria, o, meglio, la via attraverso la quale è
possibile l'esercizio difficile della mente che riflette su se
stessa.
La posizione teorica che è a
fondamento delle proposizioni concettuali rinvia chiaramente a una
ben determinata cultura filosofica, ossia agli assunti fondamentali
del positivismo logico di Wittgenstein e della scuola di Vienna e
della filosofia analitica sviluppatasi soprattutto nell'area
anglosassone: l'equiparazione dell'opera d'arte a una preposizione
linguistica, che trova in se stessa il criterio del proprio valore
(d'arte), deriva infatti direttamente da uno dei principi più
importanti del positivismo logico, il principio cioè che stabilisce
il criterio di verità delle proposizioni non sulla base di un
confronto o di una verifica sui dati dell'esperienza, ma sulla
coerenza interna del sistema linguistico. L'arte Concettuale
condivide inoltre la posizione antintuizionistica di questa corrente
filosofica e, come questa, si oppone all'illusione di poter giungere
a un impatto immediato con le cose, saltando la dimensione
convenzionale del linguaggio. L'arte Concettuale, del resto, nelle
sue forme più tipiche, si sviluppa soprattutto nell'area culturale
anglosassone e appare strettamente connessa, agli inizi, con la
Minimal Art, fenomeno artistico soprattutto americano. La scultura
minimal si presenta già come “un oggetto muto”, come un
“oggetto che rivela soltanto se stesso”, volutamente chiuso nella
propria dimensione sintattica, autonoma e autosignificante. Nello
stesso tempo, però, la scultura minimal tende a spostare
l'attenzione dalla propria oggettualità, dalla propria materialità,
ai procedimenti mentali che lo hanno costituito e lo definiscono come
oggetto artistico. L'oggetto minimal costituisce, pertanto,
una sorta di paradosso poiché, da un lato, si presenta come un
oggetto concreto che si accampa nello spazio ambientale, molto spesso
con un notevole ingombro fisico; dall'altro, appare già dotato di un
certo grado di trasparenza, in quanto agisce da stimolo atto a
mettere in moto un processo mentale di astrazione (e di definizione
linguistica) sulla natura dell'arte.
Nessun commento:
Posta un commento