L'intuizione va
oggi correttamente intesa quale organica razionalità e
formazione del presente.
Anche nell'istante
che viviamo, la nostra coscienza è, nella realtà, coscienza della
nozione, in effetti coscienza del passato; al contrario,
l'intuizione è attiva e inerisce sulle cose, gli eventi, così come
essi si presentano dilà della nozione stessa, e come si
modificano e ci modificano. Essa è ripeto la ragione
privilegiata, la sola probabilmente che sia in grado di dare una
nuova fondazione alla nostra coscienza, con strumenti diversi e nuovi
mezzi di accertamento del possibile autentico. In tal senso la stessa
critica che Peirce rivolge al concetto di intuizione, può essere
riportata a una più modesta entità: 1) perché la relazione tra
eventi possibili e verificabili è una condizione non solo della
conoscenza tout court ma anche -anzi, soprattutto- del processo
intuitivo, il quale intervenendo dinamicamente sulle cose non può
non inerire sui processi stessi e le relazioni dell'esperienza; 2)
perché il segno non sostituisce l'intuizione ma semmai la
rappresenta, a diversi gradi e a diversi effetti semiotici. A questo
punto il problema fondamentale è formulabile esattamente in questi
termini: se metacultura significa alternativa al concetto di
potere, è inevitabile proporre il quesito della qualificazione del
comportamento umano nei confronti del concetto stesso di alternativa.
Quale comportamento esige, una fondazione nuova di metacultura?
La nostra
attenzione va inizialmente al linguaggio, in quanto solo
linguisticamente siamo capaci di identificare e motivare una realtà.
Potremmo essere tentati di formulare una sorta di parallelismo: una
alternativa metaculturale <deve> utilizzare solo coerenti
strumenti di metalinguaggio. Se tuttavia andiamo a verificare i
termini reali della questione, ci accorgiamo dell'esistenza di una
insospettata complessità che rende il problema non solo difficile ma
intriso di contraddizioni; rileviamo così che una alternativa di
metacultura respinge, invece, strumenti e impostazioni
metalinguistiche. L'apparente incongruenza è spiegabile nei diversi
livelli di significato che noi attribuiamo, da una parte alla cultura
e dall'altra al linguaggio. Se in fatti si vuole mettere in
discussione le basi della cultura strumentale -e il potere che la
istituisce- , il valore che dovrà sostituirla non potrà essere che
un valore nuovo, privilegiato nei confronti degli stessi
strumenti linguistici. Un metalinguaggio sarebbe si uguale segno,
cioè semplice ipotesi nella ipotesi metaculturale, e quindi non
utilizzabile. Diverrebbe, inevitabilmente, un nuovo formalismo della
vecchia cultura strumentale, sempre attratta e ben disposta verso
nuovi apporti e trasfigurazioni linguistiche.
Perché il
metalinguaggio sarebbe una ipotesi di uguale segno? Una risposta non
è possibile senza aver prima fatto alcune considerazioni d'ordine
linguistico. Innanzitutto rileviamo che il linguaggio non è una
unione -o incontro- casuale di fonemi o di segni; è al contrario una
organizzazione che si basa sulla struttura, logica o anche alogica
(Ulisse di Joyce ha una struttura alogica, la quale si identifica con
il cosiddetto <flusso della coscienza>; così come la struttura
logica di un quadro informel è costituita dal puro ritmo gestuale).
Nel linguaggio artistico anche il caso ha una struttura, o meglio si
struttura a livello della necessità linguistica. La mera casualità,
il regno del caos, sono estranei all'arte, almeno finchè non si
qualificano nel senso della strutturazione necessaria.
La seconda
considerazione è che il linguaggio è costituito da relazioni, le
quali si svolgono in un contesto. Per Carnap la relazione ha
un carattere puramente convenzionale, costituito dall'aspetto
stettamente logico del rapporto linguistico. <Una speciale logica
del significato è supelflua; una logica non formale è una
contradictio in adjecto. La logica è sintassi>. Il
contesto delle relazioni deve essere riconoscibile, cioè
intersoggettivo, e porre alla base una sintassi come struttura di
elementi cogniti all'origine dell'operazione. Nella logica formale di
Carnap è facilmente individuabile la generalizzazione dei
procedimenti matematici; essa comunque ci consente di stabilire un
principio a mio parere fondamentale, soprattutto se riferito al
linguaggio artistico: un contesto segnico è prima di tutto un
insieme di relazioni sintatticamente percepibili e comprensibili,
basato sulla strutturazione di dati primari -che per Carnap sono una
semplice convenzione linguistica, anche se per noi potranno rivelarsi
di tutt'altra entità ontologica o semantica.
Il linguaggio è
dunque precisabile nella struttura, nella relazione e nella
intersoggettività o riconoscibilità del segno. Un linguaggio privo
di tali fondamenta, non avrebbe alcuna possibilità di essere
utilizzato in una ipotesi di metacultura, in quanto non porrebbe
problemi risolvibili ma una struttura ossia una non-struttura senza
più relazioni, determinando uno iato tra operatore estetico e
strumento operativo -il linguaggio- , il quale non risponderebbe più
a una necessità coscienziale, che è appunto necessità di
relazione. Il valore estetico è infatti necessario non solo nel
senso di autonomia ma perché la riproposta e autentica ragione
interiore, alla fine si rivela come esempio e stimolo alla stessa
autenticità altrui. Le nostre relazioni linguistiche tendono cioè a
divenire, nella loro stessa struttura, relazioni necessarie con
e degli altri. Ecco, dunque, il problema dell'operazione
estetica costituirsi come problema della comunicazione
<privilegiata>, la quale utilizza solo strumenti
sintatticamente necessari, tali cioè da coinvolgere gli altri in un
nostro segno necessario, fruibile allo stesso grado di una
convenzione linguistica. Tutto ciò che non è sintattico non serve
all'ipotesi e all'intervento della metacultura, poiché nella
dimensione umana l'esperienza stessa si basa sul linguaggio; se ciò
facessimo, lo stesso oggetto di una nuova fondazione verrebbe intuito
e comunicato in una situazione di alienazione linguistica, cioè
attraverso uno strumento che non ci appartiene. In altre parole, lo
strumento per identificare il necessario valore autre metaculturale,
non può esso stesso collocarsi al di là, e questo propriamente per
non vanificare l'operazione privandola del <prima> e del
<dopo>. Nell'ambito della pittura, l'informale tentò qualcosa
di questo genere, con lo scindere appunto la dualità idea-fare,
strumento-coscienza, ecc., ma il risultato fu la ricostruzione di un
linguaggio estremamente ambiguo, che assumeva di volta in volta i
lineamenti del programma e dell'idea stessa del fare: un fare, cioè,
che in realtà programmava se medesimo come prolungamento dell'idea
di azione. Non è, comunque, un esempio pertinente per il problema
che ci siamo proposti di affrontare in questo momento.
In effetti, il
metalinguaggio pone uno pseudo-problema. La questione reale resta
quella del valore che il linguaggio dovrà costituire nell'ambito di
una nuova fondazione culturale. Occorre per questo sfatare non pochi
miti, in primo luogo quello riguardante la presunta eccentricità di
qualunque ipotesi di metacultura; la quale non significa affatto
ipotesi di verticalità chiusa e incomunicante.
La metacultura
dovrà al contrario avvalersi della progressione orizzontale
dell'intera società; in rapporto al problema artistico, essa è in
fine rilevabile nel processo di liberazione e di utilizzazione reale
degli strumenti linguistici, cioè di quegli strumenti strutturali e
sintattici che siano riconoscibili come autentica necessità
dell'artista, e che siano (su ciò insisto) capaci di suscitare
motivi di necessaria fruizione sociale. Ma questo potrà realizzarsi
solo nella misura in cui si sarà ridotta la sfera del potere della
cultura-strumento.
Guido Montana. Arte oggi.. Rivista
trimestrale d'arte contemporanea. Silva Editore, 23/24 1965.
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