“PREMESSO CHE
questo libro non
si pone come analisi obbiettiva e globale di un fenomeno artistico o
di vita, ma cerca di affiancarsi (all'arte o alla vita), come
complice delle mutazioni ed attitudini nello svolgersi
del loro divenire
quotidiano il libro
tende a non risultare obbiettivo, poiché l'obiettività è falsa
coscienza
il libro, formato
da documenti fotografici e testimonianze scritte, basa i suoi
presupposti critici ed editoriali sulla consapevolezza che l'azione
critica e la documentazione iconografica forniscono visioni limitate
e percezioni parziali del lavoro artistico
il libro, nel
momento in cui riproduce la documentazione del lavoro artistico,
rifiuta la mediazione linguistica della fotografia.
Il libro, anche se
vuole sfuggire al consumo, è un oggetto di consumo
il libro trasforma
inevitabilmente il lavoro dell'artista in mercedi consumo e bene
culturale, atti a soddisfare le frustrazioni culturali del lettore
il libro
suggerisce al pubblico un modo di partecipare ai fatti artistici, ma
non lo impone
il libro restringe
e deforma, data la sua univocità letteraria e visuale, il lavoro
dell'artista
il libro è un
documento precario e contingente e vive d'azzardo in una situazione
artistico-sociale aleatoria
il libro si offre
soltanto come strumento di un'ulteriore esperienza nei confronti
dell'arte e della vita
il libro si
risolve nella contingenza della raccolta del materiale; domani potrà
esserci un altro libro con gli stessi autori
il libro non è
stato progettato a priori, ma si è venuto facendo, si è costruito
in maniera quantitativamente casuale, nella stessa maniera con cui
gli artisti hanno collaborato alla concretizzazione di esso; una
collaborazione che, a causa della loro scomparsa, è venuta a mancare
con Klein, Manzoni e Pascali
il libro presenta
una raccolta di materiale già vecchio
il libro coagula
uno stato fluido ed in continuo divenire che è proprio del lavoro in
arte
in questo libro
non bisogna riflettersi per cercare un valore unitario e
rassicurante, rifiutato immediatamente dagli autori stessi, bisogna
piuttosto ricercare in esso il mutamento, la contingenza, la
precarietà e l'instabilità del lavoro artistico. (premessa del
libro, pag. 5-6).
- Animali, vegetali e minerali sono insorti nel mondo
dell'arte. L'artista si sente attratto dalle loro possibilità
fisiche, chimiche e biologiche, e riinizia a sentire il volgersi
delle cose del mondo, non solo come essere animato, ma come
produttore di fatti magici e meraviglianti. L'artista-alchimista
organizza le cose viventi e vegetali in fatti magici, lavora alla
scoperta del nocciolo delle cose, per ritrovarle ed esaltarle. Il suo
lavoro non mira però a servirsi dei più semplici materiali ed
elementi nayurali (rame, zinco, terra, acqua, fiumi, piombo, neve,
fuoco, erba, aria, pietra, elettricità, uranio, cielo, peso,
gravità, calore, crescita, ecc.) per una descrizione o
rappresentazione della natura; quello che lo interessa è invece la
scoperta, la presentazione, l'insurrezione del valore magico e
maravigliante degli elementi naturali. Come un organismo a struttura
semplice, l'artista si confonde con l'ambiente, si mimetizza con
esso, allarga la sua soglia di percezione; apre un rapporto nuovo con
il mondo delle cose. Ciò con cui l'artista entra in rapporto non
viene però rielaborato; su di esso non esprime un giudizio, non
cerca un valore morale o sociale, non lo manipola: lo lascia scoperto
e appariscente, attinge alla sostanza dell'evento naturale, quale la
crescita di una pianta, la reazione chimica di un minerale, il
comportamento di un fiume, della neve, dell'erba e del terreno, la
caduta di un peso, si immedesima con essi per vivere la meravigliante
organizzazione delle cose viventi. Tra le
cose viventi scopre anche se stesso, il suo corpo, la sua memoria, i
suoi gesti, tutto ciò che direttamente vive e così riinizia ad
esperire il senso della vita e della natura, un senso che implica,
secondo Dewey, numerosi contenuti: il sensorio, il sensazionale, il
sensitivo, il sensibile, il sentimentale e il
sensuoso. Sceglie il
direttamente vissuto, non più il rappresentato, fonte questa degli
artisti pop, aspira a vivere, non a vedere, si immerge nella
individualità perché sente la necessità di lasciare intatto il
valore dell'esistenza delle cose, delle piante, degli animali, vuole
partecipare alla singolarità di ogni istante per possedere al
massimo l'<autonomia> sia della propria identità sia
dell'individualità delle cose. Vuole sentire il vitalismo per non
sentirsi come individuo vitale. Tutto
il suo lavoro tende, di conseguenza, solamente alla dilatazione della
sfera del sensibile; non si offre come affermazione, indicazione di
valori, modello di comportamento, ma come prova di esistenza
contingente e precaria. Le sue opere sono spesso senza titolo: quasi
a stabilire un attestato fisico-mnemonico di un esperimento, e non
un'analisi o il successivo sviluppo di un'esperienza.
La vita, come gli eventi che lo accompagnano, risulta così
un tempo di ansiosa spettativa, in cui gli oggetti realizzati non si
presentano sotto forma di cose inerti, ma come soggetti stimolanti,
parte del mondo, in un momento determinato e determinante, azioni
soggettive con cui addossarsi un mondo in cui gli animali, le piante,
i minerali e gli uomini si muovono in modo autonomo.
È evidente però che finchè si considera l'aspetto
descrittivo, l'uomo, i minerali, gli animali e i vegetali hanno poco
in comune; eppure tutti questi sistemi funzionano in modo simile,
legati come sono a processi comuni di trasformazione. Per questo
motivo l'artista, insieme all'ecologo, al biologo, allo scienziato,
si interessa al comportamento dell'animato e dell'inanimato, rinuncia
alla descrizione e alla rappresentazione dell'aspetto esteriore della
natura e della vita (siamo pure essi mass-media) e prende in
considerazione gli aspetti particolari: anche quelli offerti dai
microorganismi, (poco appariscenti, ma molto attivi). Si interessa di
collocare nella giusta prospettiva i fatti biomorfici ed ecologici
minori, rispetto a quelli maggiori, più appariscenti ma
relativamente inerti,; e con l'apparente banalità dei dei fatti
naturali e vitali ritorna alla meraviglia. Così riscopre la magicità
(delle reazioni e composizioni chimiche), l'inesorabilità (della
crescita vegetale), la precarietà (della materia), la falsità (dei
sensi), la violenza (dei fatti naturali-deserto, lago salato, mare,
neve, foresta); l'instabilità (di una reazione biofisica), si scopre
così come strumento di conoscenza in funzione di una maggiore
acquisizione apprensiva della natura.
Parimenti riscopre il suo interesse in se stesso. Abbandona la
mediazione linguistica dell'immagine per vivere d'azzardo in uno
spazio aleatorio. Trova insopportabile considerare l'arte come
apportatrice di valori anticipatori e si adotta per scoprirsi.
Rifiuta la parte del <vate>, perché diffida del padrone
culturale (artista, intellettuale, ecc.) che suggerisce al servo
(spettatore, pubblico, ecc.) un modello di valore. Esce dagli spazi
chiusi delle gallerie e dei musei (a volte, nonostante tutto,
rientra), scende nelle piazze, attraversa foreste, deserti, campi di
neve, per stimolare un intervento partecipativo. Distrugge la sua
<funzione> sociale, perché non crede più nei beni culturali.
Nega la fallacia moralistica del prodotto artistico, artefice della
dimensione illusionistica della vita e del reale. Crede solo nella
propria esperienza personale mentre il suo rapporto con il mondo non
avviene più attraverso le immagini analizzate e manipolate (fumetto,
cinema, fotografia, ecc.) e le cose strumentalizzate a discorso
(materia <per>, gesto <per>, azione <per>), ma con
le immagini e con le cose; si immedesima in esse, sino a renderle
parte di se stesso, sue propaggini biologiche.
Così la sua disponibilità è totale. Accumula continuamente
volere e non volere, scegliere e non scegliere; si trova cioè in un
tipo di vita che supera la formulazione di mille esperienze.
Assumendo se stesso quale unico strumento di interrogazione e
stimolazione, si inserisce così in un mondo per lo meno
classificabile e organizzabile. Adattandosi per non assimilarsi, fa
un salto dalla sua <naturalità> e sfugge di continuo dalla
dimensione acquisita.
Abolisce la sua
parte di artista, intellettuale, pittore o scultore, e riimpara a
recepire, a sentire, a respirare, a camminare, ad intendere, ad
usarsi come uomo. Naturalmente imparare a muoversi, e ritrovare la
propria esistenza non significa mimare o recitare, compiere nuovi
movimenti, ma usare se stesso come materiale continuamente
plasmabile. Di conseguenza: impossibilità a credere nel discorso per
immagini, nella comunicazione di nuove informazioni esplicative e
didattiche, nelle strutture che impongono una regolarità, un
comportamento, una sintassi, che si piegano ad un discorso
moralistico industriale. Allontanamento quindi dagli archetipi
esistenti e continuamente ricreantesi, totale avversiane al discorso
e aspirazione all'afasia, all'immobilità, per una progressiva
identificazione di coscienza e praxis.
Prime scoperte di
questa spoliazione sono il tempo finito ed infinito della vita;
l'opera ed il lavoro che si identificano con la vita; la dimensione
della vita come durata senza scadenza; l'immobilità come possibilità
di uscire dalle circostanze contingenti per immettersi nel tempo;
l'esplodere della dimensione individuale come comunione estatica e
simpatetica con la natura; l'incoscienza come sistema di conoscenza
del mondo; la ricerca dei turbamenti psicofisici per una vita
plurisensitiva e plurilineare; la perdita di identità con se stessi,
per un abbandono del riconoscimento rassicurante, che ci viene
continuamente imposto dagli altri e dal sistema sociale;
l'oggetto-soggetto come presenza fisica continuamente cangiante, come
prova di esistenza che diventa continuità, caos, spazio e differente
temporalità. <L'arte diviene>,
dice Cage, <una sorta di condizione sperimentale in cui si
sperimenta il vivere>. Fare arte allora si identifica con
la vita ed esistere assume il significato di reinventare ogni istante
una nuova dimensione fantastica, politica, estetica, ecc. della
propria vita. L'importante è non giustificarsi o riflettersi nel
lavoro o nel prodotto, ma vivere come lavoro, stupirsi per conoscere
il mondo, essere disponibili a tutti i fatti della vita (la morte,
l'illogico, la follia, la casualità, la natura, l'infinito, il
reale, l'inreale, lo sviluppo, la simbiosi). Accettando infatti
l'ideologia della vita ci si può esaltare sia per l'infinito che per
la contingenza della vita, si può vivere la morte e morire la vita,
ragionare di pazzia, e impazzire di ragione. Col pensare e percepire,
fissare e presentare, sentire ed esaurire la sensazione in un evento,
in un fatto, in un'idea, in un'azione, ognuno può allora diventare
linguaggio ed esserlo, con i suoi gesti, le sue azioni, il suo corpo,
il suo territorio, la sua memoria, la sua realtà quotidiana e
fantastica.
Comunicare con le
persone e le cose vul dire allora essere in comunione estatica e
simpatetica col mondo, senza porsi il problema se la comunicazione
dei valori, l'arte, il fare arte, siano un vivere iperuranico.
L'arte viene così
a porsi come possibilità nella materia (vegetale, animale, minerale
e mentale); la propria dimensione che si identifica col conoscere e
il percepire, diventa <un vivere in arte> quale esistenza
fantastica in continua variazione con la realtà quotidiana, che si
contrappone al fare dell'arte, quale risultante dell'atteggiamento
dell'arte, dalle ricerche visuali alla pop art, dalla minimal alla
funk art.
un fare dell'arte,
quello dei pop, op, minimal e funk artisti, che si dimostra attento
non ad un intervento, ma ad una interpretazione della realtà, un
discorrere sulle immagini che tende alla chiarificazione e alla
critica dei sistemi di comunicazione (fumetto, fotografia,
mass-media, oggetto-produzione tecnologica, struttura
micropercettiva, ecc.). un fare dell'arte come critica delle immagini
popolari ed ottiche che collabora alla chiarificazione del sistema
sociale, ma blocca l'energia dirompente della vita, della natura, del
mondo, delle cose e svuota i significati sensori di qualsiasi lavoro;
un fare dell'arte come intervento che si attua attraverso lo schermo
intellettualistico della lettura critico-storica dell'immagine
pubblicitaria, fotografica, oggettuale, psicologica strutturale,
percettiva per addomesticare in schemi prefissati la vitalità del
reale quotidiano; un fare dell'arte che si muove all'interno dei
sistemi linguistici per rimanere linguaggio, atto a vivere così nel
continuo isolamento, un fare dell'arte come cleptomania culturale che
vive sull'assunzione delle cariche eversive degli altri linguaggi
(politica, sociologia, e tecnologia); un fare dell'arte, infine, come
linguaggio separato che specula sui codici e sugli strumenti del
comunicare, per vivere in una dimensione di esclusività e
riconoscibilità che lo rende classista ed aristocratico, atto a
scalfire l'insieme delle sovrastrutture senza intaccare la struttura
naturale del mondo.
All'opposto: il
procedere asistematico della vita, che diviene contemporaneamente,
tempo, esperienza, amore, arte, lavoro, politica, pensiero, azione,
scienza, vivere quotidiano, povero di scelte e di assunzioni, se non
contingenti e necessarie; un vivere come espressione di esistenza
creativa, politica operativa, mentale.
Là un fare del
lavoro, dell'arte, del pensiero, dell'amore, della politica, e un
vivere complesso che si lasciano strumentalizzare dalle
concatenazioni del sistema, qui un vivere nel lavoro, nell'arte, nel
pensiero, nell'amore, nella politica, privo di costanti
riconoscibili, disorientato, infinito, non deducibile, data
l'indeterminatezza del ciclo evolutivo della realtà quotidiana.
Vivere nel lavoro, nell'arte, nella politica, nella scienza come
libero progettarsi legarsi al ritmo della vita per un esaurimento,
immediato e contingente, del vissuto nell'azione, nel fatto e nel
pensiero.
Nel primo caso un
essere, vivere, lavorare, fare dell'arte, della politica, <ricchi>
che interrompono la catena del casuale per mantenere in vita la
manipolazione del mondo, un tentativo di conservare anche <l'uomo
ben dotato di fronte alla natura>, nel secondo una vita, un
lavoro, un'arte, una politica, un agire, un pensare<poveri>,
impegnati con l'inscindibilità di esperienza e conoscenza, con
l'evento comportamentistico e mentale, con la contingenza, con
l'infinito, con l'astorico, con la catena delle motivazioni
individuali e sociali, con l'uomo, con l'ambiente, con lo spazio, con
il tempo, con la situazione sociale... L'intenzione dichiarata, di
gettare alle ortiche ogni discorso, univoco e coerente (la coerenza è
infatti una caratteristica della concatenazione del sistema),
l'esigenza di sentire la vita in continuo procedere, la necessità,
dettata dalla natura stessa, di avanzare a salti, senza poter
cogliere con esattezza i confini che presiedono alle modificazioni.
Ieri, dunque, una vita, un'arte, un esistere, un manifestarsi, un
manipolare, un essere politica, involuti perché basati
sull'immaginazione scientifica e tecnologica, sulle sovrastrutture
altamente specializzate della comunicazione, sui momenti segnici; una
vita, un'arte, un manifestarsi, un manipolare, categoriali e
classisti, che, separandosi dal reale, come atti speculativi, isolano
il linguaggio artistico, politico, comportamentistico, al fine di
porlo in situazione concorrenziale con la vita; una vita, un'arte,
una politica, un manifestarsi, un manipolare metaforici, che
attraverso gli agglomerati e le collazioni, riducono la realtà a
fantasma; una vita, un'arte, una politica, una manipolazione,
frustrate, come ricettacolo di tutte le impotenze reali ed
intellettuali della vita quotidiana; una vita, un'arte, una politica
moralistiche, in cui il giudizio si contrappone, imitando e mediando
il reale, al reale stesso, con una prevaricazione dell'aspetto
intellettualistico su ciò che realmente si vuole. Oggi vita o arte o
politica che trovano nell'anarchia e nel continuo nomadismo
comportamentistico il loro massimo grado di libertà per una
espressione vitale e fantastica; vita o arte o politica, come stimolo
a verificare continuamente il proprio grado di esistenza mentale e
fisica, come urgenza di una presenza che elimini la
manipolazionedella vita, per ricondurre innanzi la individualità di
ogni azione umana e naturale; un'arte innocente o una vita
meravigliante o una politica più spontanea che precedono il
conoscere, il ragionamento, la cultura, che non si giustificano, ma
vivono nel continuo incantesimo e orrore della realtà quotidiana;
una realtà quotidiana appresa come entità stupefacente,
orripilante, poetica, come presenza fisica mutante e mai allusiva
all'alienazione.
Così l'arte, la
vita, la politica povera non sono apparenti o teoriche, non credono
nel loro <mettersi in mostra>, non si abbandonano nella loro
definizione, non credono neppure nella vita, nell'arte, nella
politica povera, non hanno come obiettivo il processo di
rappresentazione della vita; vogliono solo sentire, conoscere, agire
la realtà; consapevoli che ciò che importa non è la vita, il
lavoro, l'azione, ma la condizione in cui la vita, il lavoro e
l'azione si svolgono.
Un momento che
tende alla decultura, alla regressione, al primario e al represso,
allo stato prelogico e preiconografico, al comportamento elementare e
spontaneo, un tendere agli elementi primigeni della natura (terra,
mare, neve, minerali, calore, animali) e della vita (corpo, memoria,
pensiero) e della politica (nucleo famigliare, azione spontanea,
lotta di classe, violenza, ambiente).
La realtà, di cui
ogni giorno si partecipa, è nella sua piatta assurdità un fatto
politico, è più reale di qualsiasi elemento riconoscibile
intelletualisticamente; così l'arte, la vita, la politica povera,
come la realtà, non rimandano, ma si offrono, autopresentandosi, si
presentano allo stato di essenza.
Non esistendo
l'arte o la vita o la politica come antità distinte e finite, il
lavoro artistico, vitale e politico si offre in una dimensione
temporale talmente avvertibile che si stenta a riconoscerlo,
scomposto ed incoerente, irregolare ed ubiquitario, finito ed
indeterminato, personale ed impersonale. Il fatto<appreso>
conduce solo ad un allargamento dell'esperienza, non divaga con
elementi ambigui e polisensi, è informazione allo stato puro. Non
importa se i fatti, le azioni, le cose che ne risultano acquistano
una particolare forma o aspetto, se rispondono o meno alle
aspettative precedenti, poiché l'energia, l'idea, il fatto, la
spinta eversiva, l'entità attiva, la dimensione naturale o umana o
politica o artistica presentati non contengono programmi, non seguono
una storia, sono solamente le presentazioni di un termine di vita,
non accettano relazioni, non rappresentano, ma presentano.
Ogni cosa o fatto
o comportamento vivono nel discontinuo, mettono al bando lo studio,
l'analisi, la critica del e nel sistema, si presentano solo come
elementi del conoscere concreto. L'universo del loro esistere è
finito ed infinito, si adatta al materiale, all'ambiente, al momento.
La carica eversiva e vitale deriva dal fatto che l'azione, l'entità
e il comportamento realizzati, non dialogano con le cose, ma mediante
le cose ed espongono l'attitudine dell'esecutore, attraverso la
scelta che egli opera in un numero limitato o illimitato di possibili
eventi, azioni o idee. L'esecutore così, conscio del carattere
labirintico e circolare del suo agire, insegue continuamente una
nuova dimensione artistica, politica e comportamentistica, si libera
degli stati emotivi, mentali e sociali come di pelli continuamente
rinnovantesi, rimane nel tempo e nello spazio continuo della realtà;
dove il lavoro non è che una prova di vita e una dimostrazione
della propria partecipazione al mondo. Una presa sul mondo tanto
violenta che appare inconoscibile, perché sgretola la realtà e non
offre garanzie; una percezione del dell'imprevedibile che, non
essendo ancora la telepatia un sistema affermato di comunicazione, si
riduce a fisicizzare l'idea, la coscienza, l'apprensione della
situazione mentale sociale e naturale; un'esperienza tradotta in
materia, comportamentistica o fattuale, dell'apprendimento;
naturalmente non una fisicizzazione vitalistica od orgastica, ma
<ideologica e mentalistica>; uno spaesamento fantastico e
politico della nostra contemporaneità quotidiana che colloca
l'esecutore alla convergenza di esperienza e lavoro, di esperienza e
azione, di esperienza e comportamento, rendendolo il vero
protagonista del fatto, per inserirlo nell'attualità della vita.
(Celant pag.205-300).
LO ZOO. TORINO
FINE DEL XX SECOLO (SI PREPARA L'EPOCA DELL'ACQUARIO):
noi non lavoriamo
per gli spettatori, siamo noi stessi attori e spettatori, fabbricanti
e consumatori; tra noi che si riesce a lavorare insieme c'è un
rapporto diretto, percettivo e istantaneo, non c'è giudizio a
posteriori e non c'è critica a posteriori. Quando voi vedete,
sentite e fiutate uno spettacolo fatto dallo Zoo, quello che voi
credete di capire sarà solo la corteccia, l'involucro, ma non
saprete mai cosa è successo finchè non sarete attori e spettatori
al di qua delle sbarre.
Vogliamo dire per
concludere che è inutile continuare a predire la fine dell'arte.
L'arte è finita da cinquant'anni. Basta con questa lagna, l'arte è
una parola.
Arte vuol dire
saper fare le cose, quelli che sanno fare sono da tempo gli
architetti, i designers, i tecnici e i politici. Noi non siamo
artisti e basta! Noi alla parola arte possiamo sostituire la parola
qua-qua, fare la voce di gola, come per imitare le oche, così,
perché ci siamo trovati in dieci che mentre discutevamo e il
discorso stava slittando ed impantanandosi ci siamo messi tutti a
fare qua-qua-qua e se qualcuno ci chiederà che cosa facciamo,
(finchè non diventerà di moda) gli risponderemo che facciamo
qua-qua.