mercoledì 13 aprile 2016

ARTE: LINGUAGGIO O METALINGUAGGIO.


L'intuizione va oggi correttamente intesa quale organica razionalità e formazione del presente.
Anche nell'istante che viviamo, la nostra coscienza è, nella realtà, coscienza della nozione, in effetti coscienza del passato; al contrario, l'intuizione è attiva e inerisce sulle cose, gli eventi, così come essi si presentano dilà della nozione stessa, e come si modificano e ci modificano. Essa è ripeto la ragione privilegiata, la sola probabilmente che sia in grado di dare una nuova fondazione alla nostra coscienza, con strumenti diversi e nuovi mezzi di accertamento del possibile autentico. In tal senso la stessa critica che Peirce rivolge al concetto di intuizione, può essere riportata a una più modesta entità: 1) perché la relazione tra eventi possibili e verificabili è una condizione non solo della conoscenza tout court ma anche -anzi, soprattutto- del processo intuitivo, il quale intervenendo dinamicamente sulle cose non può non inerire sui processi stessi e le relazioni dell'esperienza; 2) perché il segno non sostituisce l'intuizione ma semmai la rappresenta, a diversi gradi e a diversi effetti semiotici. A questo punto il problema fondamentale è formulabile esattamente in questi termini: se metacultura significa alternativa al concetto di potere, è inevitabile proporre il quesito della qualificazione del comportamento umano nei confronti del concetto stesso di alternativa. Quale comportamento esige, una fondazione nuova di metacultura?
La nostra attenzione va inizialmente al linguaggio, in quanto solo linguisticamente siamo capaci di identificare e motivare una realtà. Potremmo essere tentati di formulare una sorta di parallelismo: una alternativa metaculturale <deve> utilizzare solo coerenti strumenti di metalinguaggio. Se tuttavia andiamo a verificare i termini reali della questione, ci accorgiamo dell'esistenza di una insospettata complessità che rende il problema non solo difficile ma intriso di contraddizioni; rileviamo così che una alternativa di metacultura respinge, invece, strumenti e impostazioni metalinguistiche. L'apparente incongruenza è spiegabile nei diversi livelli di significato che noi attribuiamo, da una parte alla cultura e dall'altra al linguaggio. Se in fatti si vuole mettere in discussione le basi della cultura strumentale -e il potere che la istituisce- , il valore che dovrà sostituirla non potrà essere che un valore nuovo, privilegiato nei confronti degli stessi strumenti linguistici. Un metalinguaggio sarebbe si uguale segno, cioè semplice ipotesi nella ipotesi metaculturale, e quindi non utilizzabile. Diverrebbe, inevitabilmente, un nuovo formalismo della vecchia cultura strumentale, sempre attratta e ben disposta verso nuovi apporti e trasfigurazioni linguistiche.
Perché il metalinguaggio sarebbe una ipotesi di uguale segno? Una risposta non è possibile senza aver prima fatto alcune considerazioni d'ordine linguistico. Innanzitutto rileviamo che il linguaggio non è una unione -o incontro- casuale di fonemi o di segni; è al contrario una organizzazione che si basa sulla struttura, logica o anche alogica (Ulisse di Joyce ha una struttura alogica, la quale si identifica con il cosiddetto <flusso della coscienza>; così come la struttura logica di un quadro informel è costituita dal puro ritmo gestuale). Nel linguaggio artistico anche il caso ha una struttura, o meglio si struttura a livello della necessità linguistica. La mera casualità, il regno del caos, sono estranei all'arte, almeno finchè non si qualificano nel senso della strutturazione necessaria.
La seconda considerazione è che il linguaggio è costituito da relazioni, le quali si svolgono in un contesto. Per Carnap la relazione ha un carattere puramente convenzionale, costituito dall'aspetto stettamente logico del rapporto linguistico. <Una speciale logica del significato è supelflua; una logica non formale è una contradictio in adjecto. La logica è sintassi>. Il contesto delle relazioni deve essere riconoscibile, cioè intersoggettivo, e porre alla base una sintassi come struttura di elementi cogniti all'origine dell'operazione. Nella logica formale di Carnap è facilmente individuabile la generalizzazione dei procedimenti matematici; essa comunque ci consente di stabilire un principio a mio parere fondamentale, soprattutto se riferito al linguaggio artistico: un contesto segnico è prima di tutto un insieme di relazioni sintatticamente percepibili e comprensibili, basato sulla strutturazione di dati primari -che per Carnap sono una semplice convenzione linguistica, anche se per noi potranno rivelarsi di tutt'altra entità ontologica o semantica.
Il linguaggio è dunque precisabile nella struttura, nella relazione e nella intersoggettività o riconoscibilità del segno. Un linguaggio privo di tali fondamenta, non avrebbe alcuna possibilità di essere utilizzato in una ipotesi di metacultura, in quanto non porrebbe problemi risolvibili ma una struttura ossia una non-struttura senza più relazioni, determinando uno iato tra operatore estetico e strumento operativo -il linguaggio- , il quale non risponderebbe più a una necessità coscienziale, che è appunto necessità di relazione. Il valore estetico è infatti necessario non solo nel senso di autonomia ma perché la riproposta e autentica ragione interiore, alla fine si rivela come esempio e stimolo alla stessa autenticità altrui. Le nostre relazioni linguistiche tendono cioè a divenire, nella loro stessa struttura, relazioni necessarie con e degli altri. Ecco, dunque, il problema dell'operazione estetica costituirsi come problema della comunicazione <privilegiata>, la quale utilizza solo strumenti sintatticamente necessari, tali cioè da coinvolgere gli altri in un nostro segno necessario, fruibile allo stesso grado di una convenzione linguistica. Tutto ciò che non è sintattico non serve all'ipotesi e all'intervento della metacultura, poiché nella dimensione umana l'esperienza stessa si basa sul linguaggio; se ciò facessimo, lo stesso oggetto di una nuova fondazione verrebbe intuito e comunicato in una situazione di alienazione linguistica, cioè attraverso uno strumento che non ci appartiene. In altre parole, lo strumento per identificare il necessario valore autre metaculturale, non può esso stesso collocarsi al di là, e questo propriamente per non vanificare l'operazione privandola del <prima> e del <dopo>. Nell'ambito della pittura, l'informale tentò qualcosa di questo genere, con lo scindere appunto la dualità idea-fare, strumento-coscienza, ecc., ma il risultato fu la ricostruzione di un linguaggio estremamente ambiguo, che assumeva di volta in volta i lineamenti del programma e dell'idea stessa del fare: un fare, cioè, che in realtà programmava se medesimo come prolungamento dell'idea di azione. Non è, comunque, un esempio pertinente per il problema che ci siamo proposti di affrontare in questo momento.
In effetti, il metalinguaggio pone uno pseudo-problema. La questione reale resta quella del valore che il linguaggio dovrà costituire nell'ambito di una nuova fondazione culturale. Occorre per questo sfatare non pochi miti, in primo luogo quello riguardante la presunta eccentricità di qualunque ipotesi di metacultura; la quale non significa affatto ipotesi di verticalità chiusa e incomunicante.
La metacultura dovrà al contrario avvalersi della progressione orizzontale dell'intera società; in rapporto al problema artistico, essa è in fine rilevabile nel processo di liberazione e di utilizzazione reale degli strumenti linguistici, cioè di quegli strumenti strutturali e sintattici che siano riconoscibili come autentica necessità dell'artista, e che siano (su ciò insisto) capaci di suscitare motivi di necessaria fruizione sociale. Ma questo potrà realizzarsi solo nella misura in cui si sarà ridotta la sfera del potere della cultura-strumento.

Guido Montana. Arte oggi.. Rivista trimestrale d'arte contemporanea. Silva Editore, 23/24 1965.



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