martedì 22 marzo 2016

IL CONCETTUALISMO DI KOSUTH


Dal punto di vista del pubblico in generale, qualsiasi tipo di “teoria” elaborata dagli artisti è improbabile, se non addirittura impossibile. L'opinione prevalente è che l'artista, se ha qualcosa da dire, lo debba esprimere attraverso la propria opera. E, naturalmente, alcuni dei miti ereditati riguardo alla nostra professione -in quanto provenienti dalla storia religiosa- richiedono all'artista più un ruolo da stregone che da intellettuale dedito alla teorizzazione. Nel corso del nostro secolo, questo atteggiamento è stato in buona parte alimentato da quel baluardo della reazione anti-intellettuale rappresentato dall'espressionismo e dalla sua interiorizzazione nel modernismo, quando la pittura eroica è divenuta una sorta di aura dotata di un proprio valore commerciale sul mercato. Esso giocava sui miti messianici dell'individualismo eroico; la sua realtà sociale si fondava sul fatto che la sopravvivenza economica di un'attività artistica così definita dipendeva da un'aura derivante dalla sua penuria come merce, in modo da vendere appunto l'aura, la quale di necessità era rara. Nell'ultima metà del XX secolo ci siamo trovati circondati da oggetti funzionanti come reliquie religiose -quadri astratti e sculture primitive che si prestavano altrettanto bene ad essere utilizzati come oggetti d'arredamento- senza, però, che la religione conferisse loro un significato. Pregavamo la scienza e questa forma di vita culturale avrebbe dovuto colmare il vuoto. 

 Occorre separare l'estetica dall'arte perché l'estetica tratta le opinioni sulla percezione del mondo in generale. Nel passato uno dei due poli della funzione dell'arte era costituito dal suo valore di decorazione. Così, ogni settore della filosofia che si occupava della “bellezza”, e quindi del gusto, doveva inevitabilmente discutere anche di arte. Da questa “abitudine” derivò la nozione che esistesse un legame concettuale tra arte e estetica -il che non è vero. Fino a tempi recenti questa idea non è mai entrata nettamente in conflitto con considerazioni artistiche, non solo in ragione delle caratteristiche morfologiche dell'arte che perpetuavano questo errore, ma anche perché le altre apparenti “funzioni” dell'arte (raffigurazioni di temi religiosi, ritrattistica di aristocratici, rappresentazione di particolari architettonici, ecc.) usavano l'arte per mascherare l'arte. 

 I critici e gli artisti formalisti non mettono in questione la natura dell'arte. 

 Eppure, mettere in questione la natura dell'arte costituisce un concetto fondamentale nella comprensione della funzione dell'arte. Il problema della funzione dell'arte venne sollevato per la prima volta da Marcel Duchamp. Possiamo infatti attribuire Marcel Duchamp il merito di avere dato all'arte la sua identità. 

 Il Ready-made mutò la natura dell'arte da una questione di morfologia a una questione di funzione. Questo mutamento dall' “apparenza” alla “concezione” segnò l'inizio dell'arte “moderna” e l'inizio dell'arte concettuale. 

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